Il Candore di Giovanni Peli – Una scoperta
Peccato, peccato davvero non poter essere accolti, entrando in una qualsiasi delle tante librerie italiane, dal bel libro di Giovanni Peli, Il Candore, edito dalla piccola casa editrice Oedipus. Ma come purtroppo succede, i piccoli editori – e di conseguenza gli autori pressoché esordienti – non hanno la forza economica da potersi permettere una distribuzione cartacea capillare e di supportare il rischio di copie invendute.
Giovanni Peli si potrebbe definire un artista a tutto tondo. Scrittore, musicista e bibliotecario, ha scritto in poesia e in prosa, in italiano e in dialetto, è cantautore e autore di testi musicali, sino a quest’esordio veramente felice, nel romanzo.
“Candore” sta a indicare il colore bianco smagliante e immacolato, ma anche l’innocenza, la purezza, l’ingenuità d’animo. Ed è proprio così che sono i personaggi di questo romanzo: pieni di tenerezza e poesia, dolci e rudi nello stesso tempo, vivi e profondi con il loro linguaggio intervallato da espressioni dialettali che non stonano anzi, al contrario, contribuiscono a dare al narrato un incedere musicale oltre che una collocazione geografica, fra l’altro non necessaria perché la storia che si racconta potrebbe essere benissimo ambientata in qualsiasi parte d’Italia o del mondo, perché dovunque potremmo trovare quel mondo vero, genuino che Peli ci descrive. Piccoli capitoli, ognuno con un titolo che a volte richiama, e non a caso, le carte dei tarocchi e del destino, di quella vita che si snocciola nell’arco di ottanta anni in una realtà contadina, primitiva forse, con i ritmi, i riti, l’ansia del futuro e la voglia di scoprirlo che “la Bigia” – protagonista femminile, forte e fragile – con i suoi giri di carte può svelare agli altri ma non a se stessa – e, a volte, a nessuno – perché è troppo grande il peso di ciò che sente e che vede. Una costruzione geometrica e raffinata con la Storia che sfiora e s’impregna con le vite dei protagonisti riportando nel lettore ricordi e nostalgie, credenze e superstizioni, immagini di oracoli paesani, depositari di un dono, di una conoscenza che può passare solo in linea matriarcale e che Bigia non potrà trasmettere, avendo avuto un unico figlio maschio a cui la vita non riserva alcuna fortuna.
Avremmo voluto trovarlo negli scaffali delle librerie e ci auguriamo che ciò succeda o, almeno, il miracolo di un passaparola – come è giusto che sia – perché il breve romanzo di Giovanni Peli merita davvero. Magari, e ci perdonerà per questo, con una copertina meno cupa, all’altezza delle candide parole che con maestria ci regala.
Francesco De Masi