“GLOSSA” – LA LUNGA STRADA DI SAER
“…e quando stanno per raggiungere il marciapiede opposto, piegano entrambi, simultaneamente, il ginocchio sinistro e sollevano la gamba oltre il cordone del marciapiede.”
Potrebbe essere il 23 ottobre del 1961 – in una città come Santa Fe o Buenos Aires – la giornata che l’argentino Juan José Saer ci descrive, come un dipinto dai colori pastello, in “GLOSSA” (La Nuova Frontiera 2018, pp. 248, euro 17.50) nell’impeccabile musicalità della traduzione italiana di Gina Maneri.
Potrebbe essere proprio quello il giorno in cui Leto, immerso nei suoi pensieri, incontra per caso il Matematico in calle San Martín. E così queste due persone, che si conoscono e che sono completamente diverse tra loro – nell’aspetto fisico, nella scala sociale, nell’età, come nel modo di essere – percorrono insieme, in direzione sud e per un tempo definito, i primi sette isolati – poi ancora sette e, infine, gli ultimi sette – discorrendo di una festa a cui nessuno dei due aveva partecipato – uno perché era in giro per l’Europa, l’altro perché non invitato. Parlano a lungo di un luogo dove non sono mai stati e di una situazione che non hanno mai vissuto, il compleanno del poeta e intellettuale Washington, e lo fanno attraverso i racconti di altri loro amici o conoscenti, presenti la sera alla festa (“dice il Matematico che gli aveva detto Bóton che gli aveva detto Tomatis” e ci ripeterà, diciotto anni dopo e in modo sbiadito, Pichón Garay); ne parlano “immersi ciascuno nei propri pensieri”, perdendosi nei ricordi, nei viaggi, nel passato e in una morte suicida, fino all’arrivo repentino e improvviso di ciò che sarà, il futuro.
Saer crea una macchinosa catena di idee, che si incastrano perfettamente tra loro e che mettono a nudo le debolezze e i dubbi dei personaggi, visti da angolazioni o da caratteri diversi: percezioni vicendevoli e intuizioni che non combaciano mai esattamente con il pensiero di un altro, di cui controlliamo costantemente le reazioni. Restano quindi domande non fatte, cose non dette e risposte mai ricevute. Il Matematico si fa forza sulla ricchezza, sul viaggio in Europa, sull’abbronzatura, sui mocassini bianchi; Leto si perde nella morbosità e nell’angoscia di quella che fu la vita di Isabel e di Lopecito. Da qui partono le meravigliose descrizioni di Saer che creano un ritmo musicale scandito perfettamente – come i loro passi – a ogni riga di storie nelle storie, come un metateatro. Le situazioni, dapprima confuse e sovrapposte, si manifestano nitide con lo scorrere poi delle pagine, fino a diventare attimi precisi nella nostra mente, come fossero l’immobilità di uno scatto fotografico, che racchiude in sé il destino di un’intera generazione.
Marianna Zito