“Eccetera ne ha di parole”: esiste l’Amore… e poi esiste l’amore… eccetera
Giovanni Benincasa con il suo “Eccetera ne ha di parole” (Baldini+Castoldi, 2019, pp. 181, euro 17) è l’immagine dell’Amore vista attraverso il buio di un pozzo, ovvero la luce, la leggerezza, la libertà.
“Da troppo tempo avevo perso il piacere della vecchia corrispondenza, impigrito dalla posta elettronica e dai messaggini al cellulare. […] L’uso del telefonino aveva accelerato i ritmi pigri della mia vita e dell’amore.”
Ormai, le nostre vite vengono scandite dal suono di notifiche, sui nostri smartphone, ma di ciò che è scritto non resta nulla. Le tracce della nostra esistenza e dei nostri ricordi hanno breve durata, ormai vengono trascinate via dall’onda di questo progresso che ci ha resi anonimi ed evanescenti. Nessuno mai troverà su un pezzo di carta, corrosa dal tempo, gli svolazzi eleganti della nostra calligrafia. Credo che, a nessuno dei nostri nipoti, potrà più capitare di trovare su una bancarella dell’usato una borsa contenente delle lettere, così come è capitato a Giovanni, l’io narrante del romanzo di Benincasa. Giovanni, è in una fase di stallo, nella sua vita, vive un momento di fermo sia nella sfera personale sia in quella professionale e passa i suoi giorni al bar. Sarà proprio in quel bar che incontrerà Armando, anziano prestigiatore che lo aiuterà – con le magie e con la sua amicizia – a uscire dal limbo in cui è precipitato a causa della solitudine. Armando è il traghettatore della sua anima, lo porterà verso la salvezza, verso l’amore. Vedremo invece che Collins l’astronauta sarà la personificazione della solitudine di Giovanni, mentre Collins il pappagallino la proiezione dell’innocenza nel suo sogno di bambino, quasi la colomba portatrice di pace alla sua anima tormentata. Ma torniamo alle lettere… Giovanni comincia a leggere una fitta corrispondenza tra Giovanni (si sono proprio omonimi) con Elisabetta e si rende conto che ha un bisogno disperato dell’amore e cerca di vivere la proiezione del rapporto tra queste due persone sconosciute.
“La corrispondenza tra te e Giovanni mi ha aiutato a superare delle brutte giornate, mi ha offerto delle idee e delle ottime distrazioni. E il racconto di una storia d’Amore, tormentata e sofferta, consolava la mia vita che franava giorno per giorno: pezzo per pezzo.”
Le lettere fungono da salvagente, sono lo spiraglio di luce che trapela in una stanza buia e che ti permette di arrivare all’interruttore per illuminare la stanza. L’amore – nelle lettere di Giovanni ed Elisabetta – è sofferto, romantico, triste, profondo; vivono la loro storia vergognandosi della differenza d’età che passa tra loro. La timida segretezza che traspare dalle parole è drasticamente controcorrente con tutti quei i sentimenti pubblicamente svelati, a cui siamo abituati oggi.
“Tu sei troppo giovane rispetto a me e il ponte tra di noi è così lungo, ma così lungo, piccola Sabe’, che io cammino cammino e tu sei sempre lontana lontana.”
È forte qui l’amarezza di non poter vivere la perfezione di questo amore così vero.
“Io ti fabbrico ricordi perché voglio esserti storia, amore mio. Oggi pomeriggio potrai passeggiare su quella spiaggia invernale solo per ricordare me.”
Giovanni costituirà la redenzione della coppia, li farà rivivere, darà loro una seconda possibilità, si darà una seconda opportunità, grazie anche all’arrivo di un nuovo amore. Tutto il romanzo è amore, in ogni tonalità, perché amare è un sentimento puro, che affonda in una tradizione arcaica, di cuori, attualmente ed esageratamente futuristi.
“Adoro quando ti firmi solo E. Vorrei essere il tuo accento – È- per farti esistere”.
Marisa Padula