E AL CUORE MANCA UN BATTITO
“Come sarei contento di sapere quello che è meglio” Giovanni Truppi
“Cara ti amo. Mi sento confusa” Elio e le storie tese
Napoli – Poco prima di entrare in teatro mi sono trovato al tavolino di un bar con due amiche a parlare di rapporti di coppia, dei problemi di uno e delle ragioni dell’altra, portavamo avanti tesi discordanti ed esperienze personali. Tra esempi estremi e dimostrazioni esilaranti cercavamo prove inconfutabili sulle esperienze amorose. Ovviamente non abbiamo trovato una soluzione e io ho rischiato di arrivare tardi allo spettacolo L’amore per le cose assenti al Teatro Sannazaro. Una volta seduto ho iniziato a pensare alle chiacchiere fatte ammirando una scena – di Roberto Crea – che mi ricordava dei bellissimi quadri: il sipario chiuso di un rosso intenso e acceso. Una donna, un manichino, un androide immobile davanti a una torta di compleanno e la voce narrante che ci accompagnerà per tutto lo spettacolo. Quando tutto è iniziato il colore è diventato parte integrante dell’opera con delle splendide ombre proiettate dai protagonisti sul fondo. Un pittore espressionista tedesco non avrebbe saputo fare meglio.
Assistiamo alla messa in scena della fine di un amore, la sua conclusione, gli strascichi, le ferite e gli slegamenti. Tutti ci siamo ritrovati almeno una volta anche solo per sentito dire in questo groviglio di sentimenti. L’amore per le cose assenti, ho pensato, è il mio pomeriggio appena trascorso e guardo la coppia sul palcoscenico ricordando l’ultima storia importante e il primo amore, quello che dicono non si scorda mai. Vedo gli struggimenti del cuore e sorrido pensando a quanto siamo ridicoli, splendidamente ridicoli quando siamo innamorati e poco lucidi.
Giulia la protagonista festeggia il suo compleanno tra dispiaceri e malumori. Tutti pensiamo che non saremo mai così. Lo abbiamo pensato perché l’amore, e ancora di più l’innamoramento – come ci ricorda il regista Luciano Melchionna – rende ridicoli. Salvo per renderci conto poi come “tutte queste cose che pensavamo fossero solo nostre alla fine le vivono le piangono sentendosi tra l’altro unici diecimila altre coppie”. Melchionna parla di noi, di quello che siamo e di quello che sempre saremo: rivediamo i passaggi che inesorabilmente hanno portato alla fine della storia, attimo per attimo come in una partita a scacchi. Pedoni che il regista muove analizzando come un ricercatore scientifico la res amorosa, vivisezionando quel che resta di noi, i nostri sentimenti, il cuore.
Questo elemento dell’amore per eccellenza, cantato ed esaltato da poeti e musicisti, qui diventa protagonista onnipresente sulla scena. Sospeso per aria leggero e semplice come l’innamoramento, poi ammasso di carne difficile da gestire, corpo ingombrante e pesante come uno scoglio tra i protagonisti, infine letto e giaciglio per gli amanti.
Disegni a matita – ispirati dallo spettacolo – dell’artista popolare napoletano Antonio Conte
Giulia e Matteo si buttano addosso tutto l’amore di cui siamo capaci. La passione, il desiderio, l’odio di cui siamo portatori sani quando siamo coinvolti. L’inconveniente nasce quando come macchinine su piste giocattolo non corriamo più sugli stessi binari, fianco a fianco.
Se finisse insieme, il mio e il tuo amore non avremmo problemi, ma quando uno dei due accelera e arriva prima al traguardo, l’altro va in panico.
Inizi a correre come in un girotondo e non hai più fiato, l’ossigeno non arriva al cervello, perdi lucidità. Se è vero che l’innamoramento rende ridicoli, è vero che anche alla fine che non siamo il massimo della compostezza. Tra pazzie e cattiverie intessiamo reti di sensi di colpa, verità mancate e promesse interrotte per intrappolare l’oggetto del nostro desiderio. Ma siamo sicuri che poi quello è amore?
Una questione semplice e complessa, che portiamo avanti da sempre e che qui viene rappresentata in maniera perfetta. Spiegazioni, ragioni, sensi di colpa che non se ne vanno. E tutte le belle parole che ci siamo detti? Dove andranno a finire? Esiste magari un cuore gigante nel cielo per tutte le frasi d’amore, i gesti carini e il romanticismo mancato. Enorme e invisibile tra le nuvole che appartiene a noi tutti, il nostro personale portagioie.
Ho riso di gusto a teatro stasera, distaccato, innamorato, freddo, lucido e passionale come posso essere in questo momento. Sulla strada del ritorno ho aperto il mio salvadanaio nascosto, pieno di frasi e di sorrisi d’amore e per un attimo sono stato Giulia la festeggiata – Valeria Panepinto – Matteo – Giandomenico Cupaiolo – il principe azzurro che passa lento, morto sul fiume. Sono stato Her splendida personificazione dell’amore, un bastardo che lascia, un insensibile, un romantico inguaribile innamorato di lei, che non mi vuole più. Sono stato tutti e nessuno perché forse proprio questa è la verità, una verità che il regista sembra conoscere molto bene: siamo tutti, a turno, uno dei personaggi in cerca d’amore.
Antonio Conte