“DRACULA” OVVERO LE NOSTRE PEGGORI PAURE, A FIRENZE AL TEATRO DELLA PERGOLA

Il sipario è aperto, le luci della sala accese, forse perché di giorno scompaiono o si attenuano le paure, anche se permane e serpeggia in sala in certo clima di attesa, di inquietudine, quasi angoscia per quello che sarà. Si spengono le luci, in sala e sulla scena, in fondo seminascosto dalle strutture della scenografia e dall’oscurità, il rumorista inizia il suo lavoro; le voci sono amplificate, modulate nel sussurro e nell’urlo, quasi un omaggio alla phonè così cara a Carmelo Bene e lo spettatore viene trascinato in un incubo senza fine, da un promontorio sul mare alle nebbie fitte della Transilvania, regno del Conte Dracula, immenso e incredibile nel suo fraseggio dell’est europa, misterioso e inumano nella sua mancanza di riflesso negli specchi. Non c’è recitazione, non c’è accademia ma rappresentazione vera, viva e reale tra il cinematografico e il documentaristico di umane paure, così che dal romanzo gotico di Bram Stoker rimane la trama, il filo conduttore di una ricerca verso l’ignoto, dove si scoperchiano i nostri misteri e si rivelano i mostri che abbiamo dentro.
È quasi una story board tridimensionale, il “Dracula” di e con Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio in scena alla Teatro della Pergola di Firenze sino al 10 marzo, lavoro grandioso e lodevole nella riduzione rappresentativa, maestoso nelle scene che si susseguono con un ritmo incalzante e mutevole, magnifico nei suoni che ci immergono in un galoppo di cavalli, in un latrare di cani o nel fragore desolante di un temporale, crudele nell’esposizione della follia e dell’orrore, perché alla fine la vita non è soltanto una quotidiana lotta per il raggiungimento di una effimera temporanea serenità, ma è oltre, è il nostro dubbio e il nostro desiderio, sono mille fogli da sfogliare dietro una porta che segna il confine dei mondi e che ci porta verso l’ignoto, un ignoto forse ancora da vivere, o semplicemente sognare, un ignoto in cui immergersi per purificarsi o forse solo per dimenticare.
Francesco De Masi