“Caravansaray Selinunte San Siro” porta le storie di periferia al Piccolo Teatro di Milano
Dal 25 al 27 settembre è andato in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano lo spettacolo “Caravansaray Selinunte San Siro”, frutto di un lavoro mirato alla rigenerazione degli spazi periferici, scritto da cinque drammaturghi che hanno ascoltato per sette mesi le storie di chi abita il quartiere di San Siro e le voci delle associazioni che ospitano un’ampia percentuale di residenti di origine straniera. Questo progetto è curato da Outis con Politecnico di Milano – DAStU (Dipartimento di Architettura e Studi Urbani), Associazione Genitori Cadorna, Alfabeti Onlus e in rete con i Custodi Sociali, mare culturale urbano Ludwig – Officina di Linguaggi Contemporanei. Il nome del progetto, “Caravansaray” nasce dall’immagine del caravanserraglio, un luogo di sosta per le carovane che attraversavano il deserto. A unirsi nel titolo due punti nevralgici della zona di riferimento a Milano: piazzale Selinunte e l’area di San Siro.
I cinque autori coinvolti, Bruna Bonanno, Angela Demattè, Anna Serlenga, Fabrizio Sinisi (anche coordinatore drammaturgico), il rapper Daniele Vitrone, in arte Diamante, hanno elaborato una “opera rap” diretta dal regista Benedetto Sicca, creando un vero e proprio testo dal forte valore politico e sociale. In scena gli interpreti Francesco Aricò, Emanuele D’Errico, Dario Rea, Francesco Roccasecca insieme ai rapper Diamante, Flo’w e Anima VDP.
Lo spettacolo si apre con un uomo, quasi nudo, sporco e malato, coperto da una stola rossa a fargli da mantello, parla una lingua che è un italiano misto a dialetto, una figura che ricorda un po’ Cristo sulla croce, ma tormentato dal suo passato e da una consapevolezza arrivata troppo tardi. Attorno a lui altri personaggi si faranno strada, insieme al rap che scandirà il tempo dei versi che avvolgeranno gli spettatori e li immergeranno in una realtà di quartiere in cui, nonostante le difficoltà, rimane accesa la voglia di vivere e di costruirsi una vita. Si mescolano così le storie di alcune donne straniere, provenienti dall’Africa, che in Italia cercano un posto pacifico in cui poter vivere e non sopravvivere, anche se attorno a loro si vede il degrado. Non è facile comunicare e neanche difendersi bene da apprezzamenti fuori luogo quando attraversano piazzale Selinunte, ma poco importa, basta evitare di passare di lì.
“Solo in un Paese che non è il tuo puoi fare un sacco di cose belle.”
Un intreccio di storie che porta a al sogno di trovare per caso, in una scuola abbandonata, l’albero dei soldi, dal quale ognuno (ma solo del quartiere) può attingere per migliorare la propria condizione di vita: risistemare la casa, cambiare guardaroba, garantire un futuro ai figli. Cosa succederebbe se esistesse davvero un albero del genere? Creerebbe coesione tra i meno fortunati o una guerra? E se venisse eretto un muro che impedisce l’ingresso a chi ha già avuto tanto? Il lavoro degli interpreti in scena è notevole, si sente la loro sintonia d’insieme, la loro fluidità nei movimenti, storie toccanti con momenti rap che danno la giusta atmosfera ai contenuti. Toccante il monologo finale, la richiesta di redenzione di un uomo che si è stimato “troppo poco” per essere amato, per amare e per essere felice. Esiste un tempo limite per chiedere perdono, per avere un’altra possibilità?
Il teatro ha un grande potere, racconta storie, porta sul palco la vita, i racconti di gioia e dolore delle persone, per poterli diffondere, per sensibilizzare e per condividere insieme al pubblico emozioni, paure e desideri. “Caravansaray Selinunte San Siro” ha colpito nel segno.
Roberta Usardi
Fotografia di Pino Montisci