“Berlino non è tua” al Roma Fringe Festival
“Berlino non è tua”. Partiamo dal titolo per uno spettacolo che di tematiche ne affronta molte, tematiche quotidiane, dolorose. Un pronome possessivo a evocare appartenenza di una città, di una persona o di un amore, di un padre, ma preceduto da una negazione. Quella negazione a sottrarre qualcosa. Sempre. L’incontrovertibile abisso che lasciano le persone che amiamo quando non ci sono più, che esse vivano e ci lascino o muoiano. Non ci appartengono più, come Berlino: la città feticcio che fa da scenario a un vissuto doloroso e tormentato, in cui la coscienza del protagonista si scompone fra passato e presente, a lasciarlo, ancora una volta, inesorabilmente solo. Solo e senza pietà, perché la pietà e la nostalgia sono per chi ha memoria, come le città vecchie di centinaia di anni così diverse dagli uomini che consumano sé stessi tra amori e passioni, senza spazio per la compassione, in quella brevità che è il loro tempo.
Da un testo di Alejandro Moreno Jashés, nella traduzione di Gian Maria Cervo e Alberto Pichardo y Gallardo con l’attenta regia di Alessio Pizzech – sul palcoscenico del Teatro Vascello per il Roma Fringe Festival – Turi Moricca – seminudo in mezzo al caos – ci inchioda davanti a un soliloquio toccante. Perché è proprio la solitudine la vera protagonista di questa pièce. La scenografia ricostruisce un monolocale in subbuglio, come la vita del protagonista. Tutto è sporco, disordinato: un divano, bottiglie, cartoni, vestiti, lenzuola, una radio e una vecchia guida della città. Una solitudine che non ha nomi, né luoghi, né altro. Perché tutta la vita si svolge solo lì, in quei pochi metri quadri, mentre la realtà fuori continua a scorrere e lui parla a persone che mancano, piange, ride, si abbatte, si masturba e rilegge sempre le stesse pagine della stessa guida, della stessa città. Berlino.
“Berlino non è tua” e neanche nostra, di nessuno. Così come Roma non è mia, non è vostra, di nessuno, ci viene subito da pensare. Un’interpretazione magistrale che lascia un forte senso di sgomento, profondo e duraturo.
Marianna Zito