“Bambini di Ferro”, l’esordio di Tommaso Mancini
“Bambini di ferro” (Armando Editore, pp. 142, euro 15) è il primo romanzo di Tommaso Mancini (romano, classe 2002), che esplora in modo crudo e diretto la realtà della periferia della sua città, in cui il protagonista, un adolescente di nome Giacomo, lotta per tenersi a galla in un ambiente dominato dalla legge del più forte, in cui violenza e predominio si traducono in istinto di sopravvivenza. Con uno stile incisivo, sebbene a tratti ancora in fase di sperimentazione, Mancini riesce a trasmettere l’inquietudine e la rabbia di chi è costretto a crescere troppo in fretta e di chi non sa ancora cosa aspettarsi dal proprio futuro.
Sappiamo bene, infatti, che nelle strade della periferia romana non esistono ragazzi buoni e cattivi, ma esistono solo adolescenti che tirano fuori tutta la rabbia di un breve passato che è stato in grado di rubare loro la serenità dell’infanzia, alimentando un circolo vizioso di sofferenza e disperazione, a discapito ovviamente dei più deboli. Quindi, anche le esperienze di Giacomo sono profondamente legate al contesto e alla sua storia di vita, segnata dall’assenza della sua famiglia. Attraverso il suo protagonista, il romanzo invita a una riflessione universale sul dilemma che molti giovani si trovano spesso a dover affrontare: ferire o essere feriti in un mondo che impone regole brutali.
Tommaso Mancini con “Bambini di ferro”, ci consegna un’opera fresca che, pur nella sua durezza, è in grado di accendere un potente riflettore sulla ricerca dell’identità e sui modelli di mascolinità imposti da una società che, ancora oggi, sembra non avere posto per i più fragili e i più deboli.
Maria Chiara Aulisa