Attraversare e punire. “Hybris” di Rezza e Mastrella al Teatro Sanbàpolis
Antonio Rezza e Flavia Mastrella non smettono di stupire: ben lungi dall’adagiarsi sugli allori e sui leoni d’oro, con Hybris alzano il tiro, rovesciano e riscrivono le formule della performance, operando per sottrazione rispetto agli spettacoli del loro già ricco repertorio. Intendiamoci, si tratta sempre di colossali labirinti di parole e grovigli di corpi, vertigini di un pellegrino nei territori dell’ossessione – dove non si può lanciare il cuore oltre l’ostacolo perché il cuore stesso è diventato ostacolo – ma con meno appigli di prima e un solo, crudelissimo, punto di fuga. L’habitat curato da Flavia Mastrella è quasi interamente astratto, cresce e si dirada mediante luci, colori, suoni; i rari oggetti scenici suggeriscono una voragine, un contenitore le cui pareti sono andate in frantumi come le antica mura di Gerico ma stavolta, invece delle trombe e dell’arca dell’Alleanza, sono sufficienti un paio di fischietti e un telaio. Un vuoto esistenziale che non conosce misura né sazietà, un delirio di superbia che tutto divora e che da tutto viene continuamente divorato. “Come si possono riempire le cose vuote? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista?” scrivono Rezza e Mastrella, mettendo in guardia il pubblico. Non si assiste allo spettacolo, lo si attraversa (oppure si viene da esso attraversati) perdendo il senso del confine tra interno ed esterno, tra morale e tabù, tra individuo e collettività. Emerge, tra le irrefrenabili risate, un’ama-Rezza di fondo che forse segna un punto di non ritorno.
La morte aleggia in scena per tutto il tempo, declinandosi in tanti modi, senza tregua e senza indugio. Un sarcofago accoglie un cadavere in aperta polemica con il mondo che lo ha ucciso. Potrebbe trattarsi della più celebre vittima di Zarathustra oppure della prima delle sette anime egiziane postulate da Burroughs in Terre occidentali “Ren, il Nome Segreto. È il corrispettivo del mio Regista. Dirige il film della vostra vita dal concepimento alla morte. Il Nome Segreto è il titolo del vostro film. Quando morite, ecco che entra in scena Ren.”
Rovesciato in verticale, il sarcofago diventa una porta, da muovere in attacco o in difesa come un pezzo degli scacchi: sarà questa, per tutto il resto dello spettacolo, la protesi del protagonista, il suo ultimo rifugio, la sua arma letale. L’assediato diventa assediante, la madre (Cristina Maccioni), la fidanzata (Chiara Perrini), l’amico in occhiali da sole (Matteo Bergamo, in luogo di Ivan Bellavista) insieme a familiari e conoscenti (Manolo Muoio, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli) non hanno scampo, sono tante marionette i cui fili sono attorcigliati alle dita di Antonio Rezza, che con libera disperazione li manovra e li contorce. La ferocia con la quale la porta viene sbattuta annienta i presupposti della comunicazione, restituendo in pieno il tragico senso di un’epoca in cui, avvalendosi delle tentacolari protesi informatiche, le persone e le parole diventano rapidamente bersagli da mettere a tacere a colpi di tastiera.
Visto al Teatro Sanbàpolis di Trento il 23/02, nell’ambito della Stagione Regionale Contemporanea (seconda edizione della rassegna) curata dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento e dal Teatro Stabile di Bolzano.
Pier Paolo Chini