“Amleto” in scena al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo di Napoli
“è una legge comune: chi vive deve morire, deve attraversare la natura per giungere all’eternità”
Se avessimo la certezza di stare subendo un torto, di essere in balia di un tradimento, tra menzogne che portano solo ad ingiustizie, se al nostro orecchio arrivassero solo verità mancate, manipolate, sussurrate per confonderci e viziare così il nostro pensiero, avremmo noi la forza dell’indignazione, la fame di giustizia, la voglia di mattine limpide e acque pulite nel quale specchiarci e riconoscersi, piuttosto che fiumi inquinati, sorgenti devastate, corsi deturpati nei quali annegare di fronte a realtà che non ci piacciono? Pazzi, potremmo diventare tutti pazzi, se qualcuno di notte ci mettesse su un piatto la verità, forse troppo spesso sopravvalutata. Se nostro padre tornasse per un attimo a raccontarci la vita. Essere o non essere, sapere o non sapere. Questo è il problema. Dormire, forse sognare, magari sognare a teatro e ritrovarci a guardare in uno specchio noi stessi, attraverso gli occhi spiritati di Amleto, un meraviglioso Paolo Aguzzi di nero vestito.
Ritrovarci al Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo dove per una settimana ancora, dopo quella appena trascorsa, la drammaturga e regista Laura Angiulli porta in scena l’ “Amleto” di Shakespeare. La compagnia è riuscita a riproporre un’opera non facile, piuttosto complessa nel suo mettere in luce i sentimenti umani, la brama di possesso e potere, la vendetta, la ricerca di una pace forse eterna, la famiglia, l’essere figli e madri, padri e amanti. Essere uomini e donne fiere di questo nome. La vita nelle sue molteplici sfaccettature, nel suo essere sempre in equilibrio tra verità e bugia, giusto e sbagliato, bene e male, giudizio e non giudizio. Possiamo noi giudicare una madre? Gertrude (Alessandra D’Elia), persa tra l’amore per un figlio e le responsabilità di una regina. Madre, moglie amante, vedova, morta per errore. Possiamo capire il dolore di un amico fraterno? Laerte, (Enrico Disegni) orfano di padre per mano di un amico, ingannato, accecato dalla rabbia, morto redento.
Possiamo noi morire o vivere per sempre?
Shakespeare vive ogni volta che abbiamo tumulti del cuore che non ci lasciano dormire, vive per non farci dimenticare chi siamo veramente, anime che provano a restare a galla, tra realtà scomode che non piacciono e verità che a volte vorremmo urlare al mondo. Amleto vive ogni volta che abbiamo il coraggio di sapere, pur sapendo che la conoscenza allontana dal mondo, da quello bugiardo, falso, costruito per il potere dai poteri. Vive quando non sorridiamo sornioni ma ridiamo da pazzi come matti confessando quelle scomode verità che ci faranno sentire ancora più soli di quanto questo frettoloso mondo non ci faccia già sentire. Amleto impazzisce, Amleto finge pazzia, Amleto è alle strette, ingannato anche dagli amici di sempre Rosencrantz e Guildenstern (Andrea Palladino e Antonio Speranza), stretto, schiacciato da un’impresa più grande di lui. Ride parlando e prendendosi gioco di Polonio (Stefano Jotti), ucciso come un topo per sbaglio, in equilibrio sulle poltrone che compongono la scena, opera di Rosario Squillace, Cesare Accetta e Lucio Sabatino. Una scena scarna, poche sedute, un separè, un angolo, nell’angolo, per Ofelia, il muro a chiudere, come le mura di una fortezza.
Amleto guarda il mondo a testa in giù ma lo guarda negli occhi. Non abbassa lo sguardo, non trama segreti, piuttosto rivela. Più il re Claudio (Giovanni Battaglia), meschino stratega avido di potere e macchinoso interprete, morto per giustizia, ucciso dal figlio dell’uomo che ha ucciso, costruisce castelli, più i muri si sgretolano e i morti non si contano. Amleto (Paolo Aguzzi), voce spezzata, costretto a una responsabilità più grande di lui, si muove di una leggerezza pesante che sa di presagio. Salta, danza canta. Pazzo di giustizia indossa la maschera di un uomo che indossa la maschera di un pazzo che per giustizia può dire e fare quello che vuole. Un volto tagliato da una luce che scopre, rivela, imponendosi dall’alto. Luce che viene a mancare quando incontra il padre, il Re padre diventando con lui un solo corpo . Siamo quello che siamo stati, siamo quello che saremo in un circolo, vizioso o virtuoso, non sta sempre a noi deciderlo. Amleto in questo gioco delle parti, allontana tutto e tutti, anche l’amore.
Come si può credere ancora in questo scellerato sentimento se una madre cambia l’oggetto del suo desiderio in così poco tempo? Non sta a noi giudicare, noi possiamo solo ammirare Valentina Martiniello quando pazza d’amore muore tragicamente. Ofelia di rosa corallo vestita, con i fiori in mano è il ritratto di un’anima inconsapevole che si spezza, fragile e delicata. Perde Amleto, perde suo padre, perde la ragione. Canta litanie di morte, ci accompagna al suo triste destino, che poi è il nostro triste destino, Dove tutti andiamo, dove tutti arriveremo.
Vita e morte a teatro. Si spengono le luci.
Antonio Conte
Galleria Toledo produzioni
AMLETO
24, 25, 26 marzo 2023
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con Paolo Aguzzi, Giovanni Battaglia, Alessandra D’Elia, Enrico Disegni, Stefano Jotti, Valentina Martiniello, Andrea Palladino, Antonio Speranza
impianto scenico Rosario Squillace, luci Cesare Accetta, illuminotecnica Lucio Sabatino, assistente Martina Gallo