The Cure in concerto a Milano: lo spleen che continua ad accendere gli animi
La band britannica The Cure è tornata a esibirsi dal vivo con un nuovo tour, dal titolo Lost World Tour. Da ottobre a dicembre, il gruppo capitanato da Robert Smith suonerà in tutta Europa, per concludersi il 13 dicembre alla Wembley Arena di Londra. In Italia la band ha fatto tappa in ben 4 città: Casalecchio di Reno (BO), Firenze, Padova e infine Milano. Noi di Modulazioni Temporali abbiamo avuto modo di assistere alla data di Milano, al Mediolanum Forum, lo scorso 4 novembre.
Il concerto inizia all’orario previsto, ore 19.00. Il compito di aprire le danze ai The Twilight Sad, band scozzese (cosa che traspare fantasticamente dall’accento del frontman James Alexander Graham), in attività ormai da quasi un ventennio, dai colori indie rock e shoegaze. Grande voglia di scaldare e coinvolgere il pubblico già presente (poco in verità), nei 40 minuti del loro live (i suoni dal palco non erano molto ben bilanciati, poca amalgama e troppa voce, il service non li ha molto curati nella performance).
Dopodiché, è iniziata la preparazione del palco per gli attori principali della serata e, in linea coi tempi previsti, intorno alle 20,20 i The Cure salgono sul palco, tenendolo per quasi 3 ore consecutive, con un’energia e una professionalità davvero degne di nota.
Il pubblico appare abbastanza eterogeneo, anche se la frangia più agée è numerosa, in rappresentanza di una fedeltà lunga decenni. Nel complesso, c’è una certa compostezza, anche se l’apprezzamento è visibilmente alto. Si scorgono qua e là, alle note dei capi saldi della band, signore e signori che ritrovano le scintille della propria adolescenza, magari in compagnia di figli neanche ventenni. Le scelte scenotecniche sono essenziali, e al contempo sopra le righe, esattamente come il DNA che contraddistingue la band fin dagli esordi; una scelta stilistica coerente, continuativa, ma sempre aggiornata, con silhouettes in ombra, profili rarefatti o moltiplicati, richiami ad architetture gotiche, colori primari e fluo.
Durante l’esecuzione degli inediti in particolare, appaiono sul vidiwall alle spalle dei musicisti immagini della Terra, della Luna, dello spazio, in attinenza con il concept del prossimo lavoro della band, “Songs of the Lost World”, la cui data di uscita non è ancora stata annunciata.
Questa la scaletta:
Alone (finora sempre il brano di apertura)
Pictures of You
A Night Like This
Lovesong
And Nothing Is Forever
Cold
Burn
At Night
Charlotte Sometimes
Push
Play for Today
A Forest
A Fragile Thing
Shake Dog Shake
From the Edge of the Deep Green Sea
Endsong
Encore 1
I Can Never Say Goodbye
The Figurehead
Faith
Disintegration
Encore 2
Lullaby
The Walk
Friday I’m in Love
Close to Me
In Between Days
Just Like Heaven
Boys Don’t Cry
La scelta dei pezzi è come un percorso che si protrae per tutta la serata: la prima parte più melanconica, più intima, che poi sale di gradazione rock nella parte centrale, e che termina con la terza e ultima parte più ironica e leggera. L’affiatamento fra gli elementi del gruppo è palpabile: c’è coesione, supporto, colloquio, nonostante mantengano una propria individualità nel presentarsi e nel modo di stare sul palco. Tutto gira alla perfezione; i 27 brani scivolano sotto le mani di questi “ragazzi”, portati in alto dalla voce potente di un frontman più che originale. Brani che suonano anche da più 40 anni, in alcuni casi, ma freschi, sentiti, rinnovati negli arrangiamenti e nelle melodie dei cantati, senza perderne l’essenza originaria. Smith, con quella nuvola arruffata che gli corona il capo, ha la capacità di essere presente a ogni parola pronunciata. comunicativo anche quando appare totalmente calato in un universo altro. La dicotomia non lo abbandona mai: timido ma padrone della scena, a tratti scherzoso e divertito, dinoccolato ma impacciato, emozionato, ma saldo. Sempre dentro e fuori se stesso, in assoluto contatto con gli altri membri della band e col pubblico, ma proiettato in luogo che è solo suo e che gli permette di essere ciò che è.
Gli inediti – “Alone”, “And nothing is forever”, “Endsong”, “I could never say goodbye”, già presentati nei precedenti live del tour, a cui si aggiunge “A Fragile Thing”, première regalata al pubblico milanese – configurano una scrittura colma dello spleen caratteristico dei The Cure, a seconda del brano più romantica o più emozionale o più introspettiva, ma generalmente meno oscura, meno drammatica, nel raccontarci una riflessione sul fluire del nostro tempo, personale e collettivo. Largo spazio – almeno in queste esecuzioni live – a lunghe introduzioni musicali.
The Cure continuano a essere una band vibrante, coinvolgente, carica di forza espressiva e presenza scenica, di talento esecutivo, con una vena creativa decisamente accesa e una maturità artistica davvero invidiabili.