The Black’s Tales Tour – Le fiabe di Licia Lanera arrivano a Casa Argot
Roma è l’ultima tappa di The Black’s Tales Tour della Compagnia Licia Lanera, in scena al Teatro Argot dal 2 al 4 febbraio.
Spettacolo intimo ma dalla dimensione collettiva: Licia Lanera, in veste di attrice e drammaturga, ci conduce nella mente di una donna insonne alle prese con le sue psicosi e i suoi incubi. Un viaggio attraverso un buio, psichico e fisico, popolato da persone, allucinazioni, dal moltiplicarsi di ombre e immagini.
Il primo riferimento all’elemento fiabesco si attua con la creazione di un’atmosfera onirica caratterizzata dalla nebbia, dall’oscurità, dall’eco della voce che richiama il tempo della notte ma che non concilia il sonno, lo ostacola risvegliando inquietudini latenti. L’io narrante, inizialmente fuori dalla vista dello spettatore, si manifesta con tutta la sua forza. Vestita con un attillato body nero di latex e alti stivali di pelle, Lanera si presenta su un piccolo palco scuro e inizia a raccontare: «Sono tre anni che non dormo […] che dormo da sola, ma non dormo da sola».
L’incubo, allora, prende corpo e suono; la parola si trasforma nel racconto di cinque fiabe classiche (Cenerentola, La Sirenetta, Biancaneve, Scarpette rosse, La regina delle nevi), in una loro versione più black e cruenta, che diventa l’espediente per raccontarsi e per mettere al centro della scena figure femminili perdenti, innamorate, disilluse e invidiose. Umane nelle loro ossessioni e nei loro fallimenti: nothing more than human, come ricordano le note della canzone di Sevdaliza.
La musica di Tommaso Qzerty Danisi e il disegno luci di Martin Emanuel Palma accompagnano e scandiscono il ritmo drammaturgico di una eccellente recitazione in cui il corpo si agita, si inginocchia, si siede e la voce si fa urlo lacerante e perturbante, cambiando timbro senza sosta da una fiaba all’altra. Ma il tempo delle fiabe si accorcia, si restringe nella sua drammaticità, il rosso di Scarpette rosse richiama il sangue iniziale di Cenerentola che, a sua volta, affonda nuovamente nel buio della psiche. Il palco si frantuma, il ritmo si chiude su se stesso e ci riporta la protagonista alle prese con la sua insonnia e le sue confidenze notturne.
Al limite del confine incerto tra sogno e veglia, realtà e fiaba, fra l’inconscio collettivo e il proprio immaginario individuale, le parole di Edith Piaf, Non je ne regrette rien, risuonano ancora più forti: il rimpianto non c’è ma la presa di coscienza dell’impossibilità di uscire da una condizione simile emerge con tutta la sua drammaticità.
Eleonora De Caroli