“Santi Numi”, un’irresistibile blasfemia
Un titolo che ricorda un’amabile canzone di Max Gazzè di qualche anno fa e una copertina rock. Così ritorna Jacopo Masini che dopo “Polpette”, pubblica nuovi racconti brevi e brevissimi in “Santi Numi” (Exorma, pp. 168, euro 16), un’idea nata nel 2003 poi maturata e finalmente, come dice lui, diventata maggiorenne e pronta per essere letta.
Santi Numi è un’espressione che si collega alla rabbia o allo stupore. E Masini ci gioca dall’inizio alla fine, reo di una blasfemia divertente che non può che farci sorridere, e in certi casi proprio ridere. I Santi e i Numi in queste pagine sono persone normali che diventano l’uno o l’altro loro malgrado, personaggi che si aggirano tra gli anni 60/70/80 per la Pianura Padana.
“Non è forse un caso se nessuno ha mai raccontato prima le vite raccolte qui di seguito. Si tratta, infatti, delle vite di donne e uomini che, secondo le cronache e i testimoni dell’epoca, giunsero a una loro speciale forma di beatitudine e persino di santità, quasi completamente misconosciuta e, in alcuni casi, del tutto priva di senso”.
C’è quello che cosparge tutti di burro, quello che sconfigge un rospo che pare un drago, chi guarisce col potere dello zabajone ovvero della botta di culo, confessori che impartiscono l’assoluzione per conto non si sa bene chi, un asino che diventa prima uomo e poi beato, un Lazzaro che come nella migliore delle tradizioni risorge, grazie a certi bisticci ai piani alti, chi ha troppe voci in testa e profezie bislacche. E se il diavolo compare e fa il diavolo, dando il tormento a chi lo ignora, gli angeli e i messaggeri in queste pagine sono decisamente moderni, disturbando sul posto di lavoro e mettendosi in fila alla cassa del supermercato coi biscotti del Mulino Bianco. E le gesta sono rigorosamente scritte sui tovagliolini del bar. Non più di 6/7 al giorno che poi la Wanda chi la sente!
“- Aaaaaah- urlò Avanzini, – Cesare cosa ci fai nella mia testa?
-Ma non lo so mica, Marcello. Nella mia ce n’è un’altra che non so neanche dichi è, cosa vuoi che ti dica. Però so che i Giavarini sono delle merde figli di puttana e dobbiamo farli fuori, perché scopano con tua moglie – a Avanzini, anche lui, un attimo prima di perdere la lucidità ebbe modo di dire – Non sono sposato!
Ma la voce di Gambazza urlò – Menzogne! – e il dolore raddoppiò e Avanzini perse il senno”.
Masini sa far ridere anche il cattolico più fervente purché dotato di ironia, arma indiscussa dell’autore. Masini spezza quell’alone di sacralità e di aulico tipico di un certo tipo di narrazione, quella dei miti, delle leggende, delle vite dei santi, appunto. Lo fa con un linguaggio colorito, con espressioni dialettali, riportando tutto al piano strettamente umano/terreno.
“Nell’anno settimo del settimo decennio del diciannovesimo secolo dopo Cristo, in altre parole nel 1977”.
Gioca sempre sul filo del vero/falso, alimentandolo con dettagli, a volte decisamente dal gusto sbeffeggiante. Sovverte un meccanismo che è impregnato di tradizione e di dettami. Ma in effetti, se certe storie di beati, martiri e santi accadessero oggi, che reazione avremmo? Sta a noi credere o meno a quel che leggiamo, in fondo è tutta una questione di pura fede. Che poi, a voler lasciare da parte ironia e beffe varie, un paio di cose Masini ce le dice. La tradizione orale che tramanda storie nei-secoli-dei-secoli-amen, non sono un po’ un esempio/metafora di come la lingua oggi può distorcere l’informazione e creare il falso? Il mito in versione moderna? Insomma, la fake news che dilaga e si tramanda.
E poi, quella cosa che chiamiamo consuetudine, è davvero una consuetudine se la cosa più consueta di tutte, ovvero la morte, ci getta sempre nello stesso sconforto e nella stessa angoscia? Insomma, siamo dei linguacciuti, ma pur sempre umani, e dotati di una splendida debolezza.
Laura Franchi