“Sangue e latte” – La vita raccontata da Eugenio Di Donato

“Sangue e latte” siamo noi, il nostro passato trascinato nel presente, il nostro presente imprigionato nel passato.
È così che cresce Ludovico Travagli, ancorato a una famiglia radicata ma allo stesso tempo spaccata, rinchiuso e ligio a quei doveri morali tradizionali che non permettono di alzare lo sguardo nemmeno per un attimo, che dovrebbero forgiare ma subdolamente inabissano anima e pensieri, sollevando solo un muro di disagio che allontana dalla realtà. I doveri sopprimono i piaceri e insieme a loro la crescita, fino a sentirsi inadeguati e sempre colpevoli, anche dinnanzi alla morte di un figlio. Non prevedibile, non provocabile e non voluta. Evento di eterna ridondanza, dolore inconsolabile fino alla morte da tramutare, riconsiderare e riallacciare in qualche modo alla vita. Subentrano gli altri, subentra la scrittura, strumento salvifico, terapeutico e – nella sua intimità – estremamente condivisibile.
Eugenio Di Donato con “Sangue e latte” (El Dottor Sax, pp. 110, euro 12, immagine di copertina di Riccardo Cecchetti) ci imprigiona nei suoi pensieri che sono anche i nostri, nelle sue storie in cui anche noi, in qualche modo, abbiamo camminato. Costruisce una ragnatela di parole ed emozioni contrastanti da cui non riusciamo a liberarci, un labirinto di cui non troviamo l’uscita non perché non possiamo, ma perché non vogliamo. Ci fa risentire inadeguati come quando eravamo adolescenti e forti come possiamo essere, in qualsiasi momento, da adulti. Una scrittura avvolgente, coinvolgente delicata e allo stesso tempo sradicante, come un albero estrapolato con tutte le sue radici, come la vita quando fa al posto nostro una scelta. Definitiva e irreversibile.