Salvatore Cappello al Cafè Müller: gli indovinelli, la Sicilia, la fuga
La rassegna del Cafè Müller prosegue con Miniminagghi, di e con Salvatore Cappello, giovane e convincente performer siciliano di formazione circense. Salvatore è un ragazzo dallo sguardo magnetico, bello come le spighe di grano al sole; la sua specialità è la cinghia aerea, ma è anche un ballerino dal gesto misurato, un artista corporeo e volatile, un piccolo astro nascente e molto promettente. In siciliano, miniminagghia è l’indovinello, l’enigma dalla risposta univoca e perentoria, il quale s’inserisce agevolmente in quell’intricato sistema di simboli anteposti ai dogmi sociali: la mattina viene e la sera se ne va, e quando c’è lui quant’è bello stare qua! Chi è? Il sole. Così come esiste un solo modo di reagire a queste domande, similmente le persone devono percorrere strade già tracciate dagli antenati: c’è sempre qualcuno che sceglie o che ha già scelto per qualcun altro. Cappello spiega che la sua performance è la storia di un ragazzo siciliano che parte per andare a fare il circo, e non per andare a studiare ingegneria a Torino; e in questa frase è già racchiusa una buona parte del senso del suo spettacolo: vi sono degli individui che rompono gli schemi, che disattendono le aspettative, o che addirittura infrangono alcuni precetti sociali, e questo inevitabilmente crea un precedente di emancipazione esistenziale (perché alla fin fine son scelte di vita) che non solo contraddice un sistema, ma che in qualche modo mira a destrutturarlo per offrire soluzioni nuove. Salvatore ha creato per sé stesso un’alternativa che non c’era, che non era mai stata contemplata da nessuno, e per questo motivo si ritrova a lottare per poi fuggire. Se poi si aggiunge che questo evento va calato in un contesto come quello della Trinacria – per sua stessa ammissione statico, rigido, a tratti inalterabile – la situazione si complica e lo spettacolo evolve in maniera davvero accattivante.
Mentre Salvatore volteggia nell’aria, si sente quel ritornello arcinoto e geniale di Franco Battiato: cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente… come posso io, ballerino e acrobata, essere me stesso senza ferire coloro che amo? Come lo spiego a chi mi vuol bene che voglio percorrere delle strade difficili, incerte, economicamente instabili? Per noi italiani (ma poi non solo), così profondamente legati al concetto di famiglia, questo è sicuramente un tema transgenerazionale, irrisolvibile e forse inestinguibile. Salvatore propone dunque un segmento autobiografico sotto forma di racconto gestuale, danzante, acrobatico, ma non solo: parlando, talvolta, lascia anche emergere un dialetto comprensibilissimo, quasi un gramelot, che conferisce al tutto un’aura ancora più peculiare, inconfondibile. Il destinatario del suo racconto è la nonna, che per lui dev’essere un personaggio specifico ma che (non essendoci sul palco) diventa una generica e indeterminata antenata che nella sua autorevolezza non comprende il nipote, e che pertanto disapprova le sue scelte così avventate, così audaci. L’atto performativo di Salvatore spiega e definisce l’omertà, l’ignavia, il pregiudizio, senza mai nominarli. Ma poi finisce per annettere anche altro: arte culinaria, ricordi d’infanzia, incursioni oniriche; creando così una lectio culturale che è anche un ricettario (si pensi al sacrificio dell’agnello per preparare gli involtini), un’arringa contro il proprio milieu, e una denuncia del dilaniante rapporto che molti hanno nei confronti della propria identità deterministicamente intesa: il nostro contesto ci accoglie, ci nutre, ci istruisce, ma molto spesso ci soffoca, ci opprime, ci annienta.
Salvatore gestisce il palco in maniera misurata, umile, rispettosa. Si muove con sorprendente agilità e spiazzante fissità. Canottiera e mutande bianche, nessuna calzatura: sembra un uomo di mezz’età pronto per la pennica postprandiale, ma anche un bambino iperattivo che corre sulla spiaggia. Sembra un pescatore, un predatore forte e virile; ma poi imita con le braccia quel movimento tipico dei crostacei, e allora sembra anche un astice, un gambero, una preda, una cosa fragile. In fondo al palco, la scenografia è ridotta ad un didascalico tendaggio che riunisce come un compendio tutti i temi trattati tramite delle figure di carattere rupestre: magia e religione in un telero atavico, involutorio.
Lo spettacolo è andato in scena sabato scorso, il 29 maggio 2021, e scusandoci per il ritardo col quale viene pubblicata questa recensione, v’invitiamo a recuperare Miniminagghi su Nice Platform, la piattaforma streaming del Cafè Müller. Non ve ne pentirete.
Davide Maria Azzarello