Messico – la Mostra Sospesa arriva a Bologna
Il Messico approda a Palazzo Fava di Bologna – fino al 18 febbraio – grazie all “Exposicion Pendiente”, la mostra sospesa, comprendente le opere dei più noti muralisti messicani. Sospesa perché doveva essere inaugurata nel 1973 a Santiago del Cile – quale testimonianza di amicizia tra Cile e Messico – ma l’inaugurazione non avvenne a causa del golpe del generale Pinochet. I quadri furono imballati in fretta e furia e riuscirono a tornare in Messico sani e salvi e l’inaugurazione avvenne in Cile ben 42 anni dopo, nel 2015. La collezione è considerata patrimonio nazionale messicano per la sua valenza non solo artistica ma anche sociale. È un angolo di Messico in cui possiamo immergerci, a volte vociante, a volte silenzioso, a volte metallico e acuminato, a volte rotondeggiante, a volte semplice come una donna seduta sul divano.
La mostra inizia a piano terra con la proiezione di video che consentono di visualizzare le opere dei muralisti nelle varie città del Messico, e comprende l’esposizione di altro materiale, come cartine e articoli di giornale. Al primo piano troviamo pitture ad olio e alcuni disegni suddivisi tra i tre artisti: ognuno di loro lascia un’impronta diversa nello spettatore.
José Clemente Orozco si incontra per primo ed è subito intenso: colori densi con la predominanza del rosso, la rappresentazione delle folle, il racconto della morte, il richiamo disilluso alla religione, il moderno mondo fatto di grattacieli metallici che implodono su se stessi. Ricorda a tratti gli espressionisti dei primi del novecento e le figure umane assumono talvolta espressioni grottesche, con gli occhi spalancati e lo sguardo clownesco. Neanche la perfezione greca resta indenne da questa trasmutazione: Prometeo ha la testa infuocata, il corpo teso, le gambe in posizione scomposta, quasi innaturale, lontano dalla grazia e perfezione che richiama la cultura classica. Rappresentativa “La Vittoria” (1944): il suo sguardo disilluso sulla vittoria degli alleati ci rende un’immagine trasfigurata, quasi sgradevole. La vittoria è una donna grassa, dallo sguardo quasi folle, che troneggia su un fiume rosso contrapponendosi ai sopravvissuti, agli scheletri. Qualsiasi guerra, qualsiasi rivoluzione ha un prezzo alto: sangue, dolore, morte.
Diego Rivera ha colori più armonici: ci racconta il contrasto tra le rotonde morbidezze dei bambini seduti a leggere o le vite dei contadini o l’imponenza dei cavalli. Ci sono anche opere cubiste come la maternità, raccontata principalmente in due quadri: Rivera avrà un rapporto complicato con la paternità e lascerà la moglie per una pittrice russa, sposando successivamente una giovane Frida Kahlo.
David Alfaro Siqueiros ci mostra corpi ben definiti come il torso nudo di donna, quello dei santi tormentati e non mancano gli elementi futuristici. Il concavo gioca con la prospettiva come in “Aeronave Atomica” mentre “Chichenitza Fiammeggiante” in rilievo sembra un’esplosione atomica e viene istintivamente voglia di toccare quei grumi rappresi sul quadro.
Il Messico vibra in questa mostra. Sa di società sofferente, di sguardo disilluso sul mondo, sa di futuro e sa di tradizione, sa di commistioni e di influenze diverse. Ce ne portiamo via, inevitabilmente, uno squarcio.
Angelica Pizzolla