“Le tre notti dell’abbondanza” – La potenza della scrittura di di Paola Cereda
“Irene, le sussurrava Rocco spazzando il pavimento, le stelle hanno figliato. Che dici? Stanno in cielo. Tra poco scenderanno sulla terra e noi le potremo mangiare. E se ci vengono addosso? E se ci fanno male? È impossibile: le stelle sono come i ficarazzi, cadono dalla pianta e si lasciano ammaccare. Mi manca il tuo corpo, mi manca poterti accarezzare.”
“Le tre notti dell’abbondanza” (Giulio Perrone Editore, 2020, pp. 389, euro 18) di Paola Cereda è un capolavoro potente e meraviglioso, un pezzo di sud degli anni ‘80, una realtà conosciuta ma spesso volontariamente ignorata.
Arroccato su uno scoglio in provincia di Reggio Calabria si trova Fosco, un piccolo paese che il mare lo può solo guardare, perché a tutti è vietato potersi avvicinare alla riva. Lo ha deciso Totonnu, zi’ Totonnu per Irene e padre per Angiolino. E Angiolino è proprio quel masculu tanto desiderato da Totonnu, ma che di maschio ha ben poco, tanto che alla fine sarà il giovane Rocco il prescelto. Prescelto per cosa? Per riscattare una morte, per compierne altre o per farsi ammazzare? Quanto potere ha la malavita per dettar legge o cambiare la sorte di chi nasce o di chi – per volere o per sbaglio – vi si trova invischiato? E che ruolo hanno le fimmine in tutto questo?
Il tutto si compie attraverso i colori di Irene che – sul quaderno arancione prima e sui muri poi – non smetterà mai di disegnare e dipingere, sia per creare mondi sconosciuti sia per riprodurre quella realtà a un certo punto perduta, ma che continuerà a riaffiorare dalle sue mani, dai suoi sogni e pensieri. Il tutto si compie con gli appuntamenti tra Irene e Rocco, notturni sui tetti e fugaci di giorno, fino ad arrivare alle tre notti dell’abbondanza, che dirameranno per ognuno dei tre amici – Irene, Rocco e Angiolino – una strada diversa, ma non senza mai provare a riattaccare Fosco al mare. Il tutto si compie, e basta. Come doveva essere.
“Le parole sono etichette che si appiccicano sui ricordi, per poterli ritrovare. I corpi dentro il mare, le divise sulla spiaggia e l’assenza di giudizio: era la libertà.”
La significativa immagine in copertina di Maurizio Ceccato introduce una scrittura limpida – come il mare di Fosco e gli occhi di Irene – descrittiva e al tempo stesso ovattata, lieve e intrisa di quell’armonia di colori, suoni e tradizioni del Sud, che ci permettono di “guardare in faccia i dolori” e, in questo modo, attraversarli.
Marianna Zito