“L’altro bambino” di Joy Williams
Nel 1978 venne pubblicato negli Stati Uniti il romanzo “The Changeling” di Joy Williams, un’autrice dalla penna pungente; nata nel 1944 nel Massachussets, esordisce nel 1973 con il primo romanzo “State of Grace” e fino a oggi ha pubblicato quattro romanzi e cinque raccolte di racconti.
“The Changeling” (trad. “il mutamento”) fece scalpore negli Stati Uniti quando fu pubblicato e venne accusato di eccessiva ermeticità; a quarant’anni di distanza, nel 2019, è stato portato di nuovo alla ribalta e pubblicato in Italia con il titolo “L’altro bambino” (Edizioni Black Coffee, 2019, pp. 315, euro 18).
“È così che tutto ha inizio. Era un tratto distintivo delle donne, quell’empatia impotente. La ferita che continuava a riaprirsi. La ferita mai fatale. Si sentiva meglio.”
“L’altro bambino” è la storia di Pearl, una donna dai contorni offuscati, che non ha piglio sugli eventi, ma viene risucchiata e trasportata dalla loro corrente; già dalle prime pagine la troviamo, fuggiasca, seduta a un bar a sorseggiare gin (di prima mattina) accanto al suo neonato Sam. Di lì a poco scoprirà che il marito Walker l’ha scovata senza alcuna difficoltà e sarà costretta a tornare a casa con lui, su un’isola sperduta. Durante il ritorno però sarà coinvolta in un incidente aereo in cui lei si salva miracolosamente e così anche suo figlio, anche se Pearl è convinta che il neonato sopravvissuto sia in realtà un altro bambino, non il suo, e da qui il titolo della versione italiana del romanzo.
“Doveva essere stata una donna, in principio, a stabilire che la morte facesse parte della vita. Un uomo non ci avrebbe neanche pensato. Le donne avevano scelto la morte per compatirsi in eterno.”
La casa / isola si chiama “Hart” (assonanza con “cuore” in inglese) ma non viene quasi mai chiamata per nome; è un mondo a parte, in cui a regnare sono i bambini, 12 per la precisione, come 12 sono stati i figli di Aaron e Emma, che si insediarono sull’isola molti anni prima, i genitori di Walker e del fratello Thomas: quest’ultimo ama sconsideratamente i bambini e per questo, oltre ai suoi e a quelli dei fratelli. ne ha ottenuti in affido altri, a cui impartisce un’educazione prima che possano andarsene, una volta raggiunta l’adolescenza. Pearl è un’anima persa, confusa, evanescente, ma i bambini la amano e lei si fonde con loro, perennemente in compagnia dell’alcol che la stordisce.
“Qual era la chiave per il volto di un bambino? Una porta spalancata sull’evoluzione.”
Pearl è sempre al centro di tutto, il lettore vede chiaramente la sua “involuzione” dall’inizio alla fine, da donna offuscata a donna quasi fantasma, sempre ubriaca, preda di allucinazioni e a un flusso di coscienza che a poco a poco si acuisce, così che il lettore perde, come Pearl stessa, il confine tra la realtà e la fantasia.
“Cerchiamo qualcuno con cui condividere il niente, e quel niente non è il tempo.”
Una scrittura articolata e a tratti misteriosa, complessa, quella di Joy Williams, che pone il femminile al centro nella figura di Pearl e che poi abbandona al suo destino di personaggio, attraversando temi e avvenimenti senza paura, ma con una forza a volte quasi insostenibile. Un mondo mentale, intricato e senza più il confine tra sanità e pazzia.
Roberta Usardi