“La notte dell’innominato” al Piccolo, una favola nera
Il Piccolo Teatro Strehler di Milano ha ospitato “La notte dell’Innominato”, in cui la celebre vicenda raccontata ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni si tinge di nero e assume sfumature gotiche sotto la regia di Daniele Salvo.
Lo spettacolo ripercorre fedelmente il romanzo: un narratore, l’unico personaggio che indossa abiti ottocenteschi, recita alcuni passi del capolavoro manzoniano interpretandoli con spessore e singolarità, inoltre gli attori pronunciano le battute scritte da Manzoni. Gli artisti in scena sono quattro, tre uomini e una donna. Il ruolo dell’Innominato è stato affidato al grande Eros Pagni, che ha scelto di interpretare la complessità del personaggio attraverso gli sguardi e i silenzi, pronunciando poche frasi secche e gravi, tipiche di chi è abituato a comandare. Gianluigi Fogacci è invece il narratore e il Cardinale Federigo Borromeo, Valentina Violo è una Lucia forte nella sua fragilità e che assume il ruolo di seconda protagonista della storia, mentre i restanti personaggi, compresa la malefica vecchia che assiste Lucia nella notte di prigionia, sono stati portati in scena da Simone Ciampi.
Le scenografie in scena sono complesse e svolgono un ruolo di primaria importanza nella creazione di un’atmosfera gotica. Domina incontrastato il colore nero, fatta eccezione per il viola del costume dell’Innominato, l’azzurro chiaro tendente al bianco per Lucia e il rosso del costume del Cardinale Federigo Borromeo, che si trasformerà in una candida veste quando il personaggio deciderà di spogliarsi della porpora cardinalizia per incontrare il protagonista. Il palcoscenico è strutturato su due livelli: uno inferiore su cui si svolgono le scene principali e uno sopraelevato su cui si svolgono alcune azioni secondarie. Sullo sfondo troneggiano alcuni dipinti riguardanti la religione e la morte: l’arte di alcuni dei più grandi artisti occidentali è stata trasformata in un memento mori che ricorda all’Innominato l’inevitabile morte che attende tutti noi e che ci chiama a vivere un’esistenza retta. Alcune opere sono immediatamente riconoscibili, come Il trionfo della morte di Palermo, un capolavoro quattrocentesco riguardante la Peste, le opere più apocalittiche di Hieronymus Bosch e il Cristo San Juan de la Cruz di Salvador Dalì; altre tele invece sono poco conosciute dai profani, ma non per questo sono meno interessanti. Se lo spettacolo è dominato dalle ombre, anche la luce svolge un ruolo importante: quando Lucia pronuncia il fatidico voto il suo volto è illuminato dall’alto e in una scena sono presenti dei laser verdi.
La favola dell’Innominato è popolata da oscuri personaggi onirici, provenienti dagli incubi più cupi delle epoche del nostro passato; attraversano il palco lentamente e silenziosamente come dei fantasmi, senza interagire con i personaggi principali; il loro volto è coperto e indossano abiti scuri. Si tratta della maschera veneziana del medico della peste, un uomo con la testa di cinghiale che troviamo in molte opere relative agli incubi, un individuo vestito di nero con un lungo copricapo a punta, tipico delle processioni religiose di alcune regioni europee e molti altri ancora. Tali figure sono preziose citazioni che collegano l’episodio manzoniano ad epoche storiche diverse dal 1628, anno in cui è ambientato il romanzo, o alla prima metà del XIX secolo, il periodo in cui l’opera è stata composta.
La Provvidenza tanto cara a Manzoni assume dunque un ruolo secondario in favore dell’importanza di scegliere una vita conforme ai valori cristiani per garantirsi la Salvezza, ma lo spettacolo di Daniele Salvo è soprattutto un dramma psicologico, che indaga a fondo i moti dell’animo dell’Innominato, di Lucia e del Cardinale Federigo Borromeo. Può uno spettacolo così cupo lanciare un messaggio di speranza? Se questo era l’intento del regista, la sfida è stata superata con successo.
Valeria Vite
Fotografia di Masiar Pasquali