LA MITE di Fëdor Dostoevskij
Adelphi licenzia in libreria una nuova traduzione de “La mite” (pp. 103, euro 11) di Fëdor Dostoevskij, a cura di Serena Vitale, che traduce lo splendido racconto e della quale, in appendice compare un’utile nota al testo che ne ricostruisce la genesi e che, con le sue note sulla traduzione arricchisce questo volumetto indispensabile sia per il lettore sia per lo scrittore, che ha necessità di confrontarsi coi capisaldi della letteratura e, in questo caso, con uno dei migliori racconti mai stati scritti.
“La mite. Un racconto fantastico”, perché – nelle parole dello stesso Dostoevskij – “l’elemento fantastico c’è davvero, ed è nella forma stessa della narrazione”. La mite inizia dalla fine: un uomo, seduto accanto al tavolo su cui riposa il cadavere della giovane moglie appena suicidatasi, ricorda, ragiona, analizza i motivi e la storia che hanno portato al tragico finale. L’uomo ha quarant’anni, titolare di un banco pegni, ex capitano da caccia cacciato da un illustre reggimento con l’accusa di vigliaccheria. Come molti personaggi dostoevskiani, non ultimo il protagonista delle “Memorie del sottosuolo”, l’uomo è impegnato in un monologo in cui racconta se stesso, le proprie virtù ma soprattutto le proprie mancanze, le meschinerie delle quali, al pari del sottosuolo, egli se ne bea. Ed è questa personalità a innamorarsi, dopo una serie di anonimi incontri proprio al banco dei pegni, di una giovane, bellissima fanciulla, che viene definita mite proprio per il suo carattere docile e remissivo. Coerente al suo carattere meschino, l’uomo s’imporrà di conquistarla, utilizzando già dai primi incontri, dei piccoli ricatti e cattiverie gratuite, così da esercitare il proprio egoismo e la propria viltà. Ma cattiveria e slanci di bontà coesistono all’interno dell’uomo, che alfine riuscirà a farne sua moglie, continuando però ad altalenare un sentimento di bontà a un sentimento, ancora più grande, di rancore. La storia andrà avanti tra silenzi colpevolizzanti, gelosie morbose e una conversione finale che non salverà la povera donna, la mite e gentile ragazza, dal suicidio. Il racconto finisce così come era iniziato, in modo circolare. Il lungo racconto del protagonista restituisce ogni aspetto della sua personalità, tra slanci di umore, sospiri e silenzi.
Una lezione di scrittura che, ancora oggi, ha tanto da dirci su quanto siamo o possiamo essere cattivi coi più deboli e su come siamo sempre piccoli dinanzi alla possibilità che ci viene concessa per migliorarci.
Giovanni Canadè