“LA GIOIA” E LA BELLEZZA DI DELBONO AL TEATRO ARGENTINA

È follia. Una follia che scaraventa in una caduta nell’abisso. E il ritorno in superficie, fino a risentirsi addosso l’aria, è estenuante. È una caduta libera, che sconfina da quella riga sottile che è realtà, “La Gioia” o meglio il dolore di Pippo Del Bono.
A conti fatti, a volerla descrivere in modo oggettivo, è una festa. Una festa di calde ed emozionanti lacrime, nel continuo e necessario omaggio a Bobò che lì, su quella panchina, ha lasciato un vuoto incolmabile, mentre il suo spirito gironzola tra i suoni, i fiori, il buio, sul palcoscenico e tra la platea del Teatro Argentina, che avrà con sé gli esseri fatui di questa compagnia fino al 10 marzo, in uno spettacolo ricco in ogni passaggio di poesia e di letteratura, che rinasce pur mantenendo i suoi punti vuoti, perché è anche di mancanze che si continua a costruire, mancanze che nel paradosso diventano i mattoni più saldi, le fondamenta più forti.
Dove è la gioia e dove è il dolore. Così lontani ma così terribilmente vicini fino a confondersi, che se chiudi gli occhi non li distingui e ridi mentre piangi. Piangi mentre ridi. In questo spettacolo di bellezza ed estrema follia, dove rotoli e precipiti ora nel buio ora nella luce. Dove o ti alzi e te ne vai o resti seduto a guardarti riflesso in uno specchio di mille Tu, inebriato dal frastuono di quel dolore che tanto evitiamo, agogniamo, desideriamo. Tanto da sbagliarci. Tanto da chiamarlo gioia. La Gioia.
Marianna Zito