JOHN GABRIEL BORKMAN – GRANDI INTERPRETI ALLA PERGOLA DI FIRENZE
Quando il sipario si chiude e le luci della sala si accendono, si rimane un attimo in silenzio, come incupiti, pensierosi, desiderosi solo di riflettere su una storia di ieri che sembra però rispecchiare le cronache di oggi, per i ritratti umani che si sono succeduti sul palcoscenico, per i dialoghi che possono essere attuali ma anche senza tempo, per una storia che racconta il fallimento delle idee e l’eroismo dei perdenti.
“John Gabriel Borkman”, opera di Henrik Ibsen, complessa ma di raffinata bellezza, pur portando con sé una segreta comicità, rimane comunque una commedia cupa e austera, una storia che si sviluppa e si esaurisce in un contesto familiare dove tutti sono contro tutti, un microcosmo di falliti dove il protagonista Borkman, uomo dalla vita irrisolta, il cui sfrenato egoismo e la grande ambizione, lo hanno portato prima in galera e poi a rinchiudersi per otto anni in una opprimente camera, dalla quale sogna di uscire un giorno da vincitore e tornare a dominare la scena mondiale della finanza, senza però far niente perché ciò succeda. Nell’appartamento sottostante abita la moglie, vittima e complice di un’unione disumana e fredda con il sogno di conquistare l’amore del figlio, dato quand’era bambino, in adozione alla sorella gemella, unico vero amore di Borkman, sacrificato all’altare della carriera, con il sogno mai realizzato di maternità. Tre persone chiuse nel passato, che non vivono il presente, in attesa di un improbabile futuro. In una raggelante atmosfera di morte: i personaggi di questa commedia vivono nell’illusione di realizzare un sogno, inconsapevoli che non è possibile realizzare alcun sogno se non c’è amore, ma solo reazioni intossicate dall’ansia del possesso e di rivalsa per ciò che non si è avuto. Per nessuno c’è futuro, nemmeno per il figlio che fugge di casa per sottrarsi a quell’ambiente di velenoso rancore e che ripete come un mantra di essere giovane e senza nessuna voglia di lavorare perché il “futuro è finché dura”. E quando tutto si frantuma, sogni, desideri, aspettative, ambizioni, quando Borkman alla fine, seguito dalla cognata esce finalmente di casa, sperando – o forse desiderando – finalmente di vivere una vita con umane emozioni – è oramai troppo tardi, è come se il freddo del cuore si svuotasse sul mondo in un rovescio di gelo e di neve.
L’ottima versione italiana di Danilo Macrì e la regia di Marco Sciaccaluga contribuiscono senza dubbio alla impeccabile grande interpretazione di Gabriele Lavia, Laura Marinoni e Federica Di Martino. Le scene di Guido Fiorato, con qualche piccolo rimando ai dipinti di Munch, che ha definito John Gabriel Borkman “il più potente paesaggio invernale dell’arte Scandinava”, sono sorprendenti e magnifiche e rendono benissimo quell’aria cupa e anaffettiva che il capolavoro di Ibsen racchiude.
Al teatro della Pergola di Firenze sino al 25 novembre.
Francesco De Masi