Intervista a Chiara White: l’introspezione e i mostri dell’immaginario collettivo nel nuovo disco anticipato dal singolo “Neroseppia”
Chiara White è tornata il 5 febbraio scorso con un nuovo singolo, “Neroseppia” a tre anni di distanza dal disco “Biancoinascoltato”. Il brano è finalista del Premio Bianca d’Aponte e anticipa il nuovo disco pervisto per quest’anno per Suburban Sky Records. Si tratta di un concept album che punta a trasfigurare esseri mostruosi da diverse culture. “Neroseppia” ha come protagonista il Kraken, la piovra gigante, il mostro degli abissi. Abbiamo fatto qualche domanda a Chiara per saperne di più sul suo nuovo lavoro discografico e sul nuovo brano.
“Neroseppia” è il tuo nuovo singolo, che fa parte del tuo prossimo disco, un concept album sugli esseri mostruosi, come hai pensato a questo tema e qual è stato il processo compositivo dei brani?
Inizialmente il tema è arrivato, per così dire, da solo. Quando scrivo cerco di liberarmi dai pensieri e i condizionamenti che ci distraggono continuamente nelle nostre vite quotidiane e lascio che emerga altro, qualcosa di autentico. Così, di getto, è nata prima Neroseppia, durante un periodo di crisi, e poi altri due brani che saranno presenti nel nuovo album. Mi sono accorta che le canzoni che stavo scrivendo trattavano di temi “scomodi”, di demoni interiori, di mostri… ho deciso quindi di seguire questo “filo di Arianna” per farmi portare al centro del labirinto… al centro di me. Ed allora ho fatto qualcosa di insolito rispetto al mio normale processo compositivo: ho iniziato ad indirizzare la mia scrittura, facendo introspezione mirata su di me e documentandomi su altre figure mostruose dell’immaginario collettivo… ne sono usciti 7 mostri più una cornice.
Canti, nel nuovo brano, “neroseppia sui colori”, ti riferisci ai colori della vita in contrapposizione al buio della depressione?
Esatto, ma si tratta più di una “sovrapposizione” che di una “contrapposizione”: i colori della vita restano, e tu sai che ci sono, ma sono come coperti da un velo scuro, o da inchiostro color neroseppia, appunto. Ed è questo il dramma della depressione: non è dolore, ma assenza di colori, assenza di emozioni, che siano belle o brutte, luminose o buie (cieli senza più tramonti, mari senza quelle onde). In effetti non è altro che una difesa: c’è qualcosa che non vogliamo vedere, che non accettiamo, qualcosa che non va nelle nostre vite, o semplicemente la consapevolezza che nessuna vita avrà un lieto fine… e allora il Kraken si sveglia e ci trascina giù negli abissi di noi, ci paralizza coi suoi tentacoli e ci riempie gli occhi di inchiostro… è un paradosso: per paura del buio vediamo neri anche i colori. Ciò che ho capito facendo introspezione e lavorandoci, anche attraverso la musica, è che il Kraken non è altro che una parte di me, spaventata più che spaventosa, non qualcosa contro cui combattere, ma qualcosa da comprendere… forse quei tentacoli cercano solo un abbraccio?
Che ruolo hanno i mostri nella vita?
I mostri sono parte di noi, le nostre parti più scomode, spaventate, ribelli. Intrappolate dai condizionamenti sociali o da quelli che noi stessi ci imponiamo. Sono quelle voci, spaventate, che urlano, quasi sempre inascoltate (come quel “bianco” del mio primo disco). Sono il fango che tutti ci portiamo dentro e costantemente cerchiamo di ignorare. Ma il fango è fertile e ci rende vivi, ci rende esseri umani (in moltissime culture l’uomo nasce proprio dalla terra, dall’argilla) e quelle voci, sono la parte più vera, autentica, di noi. Io ho deciso di dare spazio ai mostri nella mia vita, di provare ad integrarli, e lo manifesto nel mio nuovo disco. È un lavoro durissimo, ma è l’unico modo per essere veramente completi… Nietzsche diceva “tu ti vuoi creare un Dio dai tuoi sette demoni”.
Nel tuo nuovo disco hai trasfigurato i mostri, portando un nuovo significato, ce n’è uno in particolare che ti ha particolarmente incuriosito?
Non vorrei svelare troppo sui prossimi mostri, ma posso parlarvi del Ciclope, protagonista del brano dal titolo Il mio nome non è Nessuno. Ho scelto questo mostro per rappresentare il maschilismo: un uomo alto, potente, irraggiungibile… ma con un occhio solo, dunque incapace di vedere le cose nella giusta prospettiva e, diciamolo, non proprio sveglio. Ho lavorato molto negli anni su questo tema. Potrebbe sembrare un tema solo sociale, legato a demoni esterni stavolta, ma, purtroppo, non è così. La prospettiva (monoculare) maschilista della società, declinata in primo luogo nei rapporti amorosi, non sta solo fuori e non sta solo nelle teste degli uomini. Noi stesse siamo cresciute con certi stereotipi spesso imbevuti di un romanticismo sognante che ce li hanno fatti apparire anche desiderabili. Anche in questo caso dunque è durissimo liberarsi del mostro, forse ancor più di quello interno che di quello esterno, ed è necessario un grande lavoro prima di tutto su noi stesse. Un lavoro complicato, perché negare l’esistenza del mostro in noi non funziona, rischia di portarci a stereotipi opposti, altrettanto dannosi per la libertà individuale e l’identità di genere… credo che la strada verso un equilibrio (parola che preferisco a “parità”) di genere sia ancora molto lunga e passerà attraverso le generazioni future.
Rispetto ai mostri che hanno dato ispirazione al tuo prossimo disco, tu che ruolo hai?
Io mi limito a dare loro voce: scelgo le parole giuste per far sì che si esprimano nel modo più autentico possibile, cercando di non alterare troppo ciò che l’istinto mi suggerisce, e al contempo ricerco melodie, suoni e arrangiamenti, che diano potere a quelle parole. È come un rituale magico, una vera e proprio evocazione (dal latino ex: fuori e vocare: chiamare) per trasferire i mostri da dentro a fuori e poterli guardare negli occhi.
Rispetto al tuo primo disco “Biancoinascoltato” come descriveresti il nuovo disco?
“Biancoinascoltato” dava voce al bianco, alla luce, alla purezza, all’essenza, ricercandola in paesaggi immacolati, fiabe, viaggi. Non avevo fatto i conti col nero e con il fango, con l’inferno che qualunque viaggiatore deve attraversare per ri-trovare, e riconoscere, la luce. Ma in fondo bianco e nero sono le due facce della stessa medaglia, si trasformano l’uno nell’altra continuamente e ciclicamente, come il giorno e la notte. In Neroseppia e negli altri brani del nuovo album, sono solo scesa più in profondità, ho fatto qualche gradino in più e ho trovato “il lato oscuro della luna”, per citare i Pink Floyd. Affronto temi decisamente più scomodi e anche a livello compositivo ho fatto un lavoro un po’ diverso, più mirato e focalizzato. L’arrangiamento dei brani, per me imprescindibile per la buona riuscita di quel “rito magico”, per dare veramente vita a quei mostri, è anche decisamente più ricercato: insieme a Elia Rinaldi (Nervi, Finister) abbiamo trovato un sound che rinnova le mie radici acustiche con atmosfere elettroniche, creando un “altrove sonoro” che davvero sembra abitato dagli esseri di cui parlo.
Hai in programma di fare qualche diretta live in streaming, nell’attesa che si possano fare concerti in presenza?
Non amo suonare in diretta streaming, mi mette sempre un po’ a disagio rivolgermi ad un cellulare e la mancanza di applausi alla fine di ogni esecuzione è davvero emblematica della solitudine che sta riempiendo sempre di più le vite di tutti. Chiaramente, in mancanza di altro, come palliativo all’assenza di condivisione e per regalare ogni tanto qualche piccolo concerto ai miei sostenitori, mi capita di farne. Ne ho fatto uno per l’uscita di Neroseppia, sia su Facebook che su Instagram, e sicuramente ne farò altri per i prossimi singoli in arrivo. Ma spero di poter presentare presto il disco dal vivo.
Oltre a essere cantautrice sei anche attrice e dottoressa in Scienze Geologiche, come riesci a far interagire queste tue tre doti, se lo fanno?
Cantautorato e teatro non hanno problemi ad interagire, sono entrambe arti sceniche e ciò che imparo in una mi aiuta sempre anche nell’altra. Per quanto riguarda invece la mia attività di ricercatrice l’interazione è molto meno scontata e non nego che ci siano stati conflitti in passato (dei quali in parte parlo attraverso la voce di uno dei miei mostri), ma col tempo ho capito che sono parti di me alle quali non posso rinunciare ed ho scelto di non scegliere, di portare avanti tutto con passione e al massimo delle mie possibilità, accettando di pagarne il prezzo (ovviamente lo stress). Credo poi che l’approccio metodico e di ricerca mi abbia aiutato molto nella composizione di questo disco, così come la fantasia non sta per niente male nella testa di una geologa.
Roberta Usardi
Fotografia di Carlotta Nucci
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