“Il corpo ricorda”, il vivido memoir di Lacy M. Johnson
“Hai mai detto a nessuno, mi chiede finalmente l’ultimissima terapeuta, con l’unico elenco – i sentieri incrociati – in mano, almeno una volta, la verità su quello che le stava succedendo?
No, mai, rispondo. Ancora non lo capisco io stessa.”
NN Editore, con la collana Le Fuggitive continua a dar voce alle donne costantemente in fuga, che hanno subito violenza e che hanno avuto il coraggio di andare oltre, di ricominciare. È infatti The other side il titolo originale del libro di Lacy M. Johnson, “Il corpo ricorda” (pp. 200, euro 18).
L’autrice racconta la sua esperienza di violenza in modo crudo e spietato, allo stesso modo in cui la violenza stessa è avvenuta. Lo fa divincolandosi tra le pieghe della memoria, le ferite inflitte sul corpo e gli atti giudiziari. Le violenze rimangono nel tempo, perché lasciano addosso qualcosa di incontrollabile e che piano piano fagocita sempre di più, la paura.
“È strano, penso ora, il modo in cui se pure la mente dimentica, il corpo ricorda.”
E Lacy M. Johnson questo lo sa, lo sa perché i lividi li ha ignorati per molto tempo e quella violenza se la porta ancora, dopo anni, attaccata addosso e la paura la porta costantemente a guardarsi le spalle, a proteggersi e a proteggere la propria famiglia. Non le ha però impedito di scrivere queste pagine, di mettere nero su bianco ciò che è accaduto e di consegnare una speranza a tutti, quella di una nuova vita.
“Sono conciata esattamente come mi sento.”
La sua scrittura è coinvolgente, come lo è la traduzione italiana di Isabella Zani, che riporta esattamente alla mente le immagini descritte. Talune sono così esplicite che quasi le sentiamo anche noi le stesse emozioni: ci entrano nella mente e ci immobilizzano il corpo o lo lasciano cadere. Ci sentiamo come lei.
“Cerco di allontanarlo a calci e lui mi dà un pugno su un fianco. Io divento una pozzanghera, colo dal divano al pavimento”.
È luglio del 2000. È notte. Ha ventidue anni e la sua vita sta per cambiare per sempre. Incontri con poliziotti, investigatori, psicologi e psichiatri saranno all’ordine del giorno. Le parole si intrecciano, si trasformano fino a diventare l’ultimo atto di perdono, verso sé stessa. Nessuno dei personaggi ha un nome, potrebbe essere chiunque. Non c’è un ordine temporale, si va avanti e si torna indietro, ma la storia si costruisce da sé, col respiro pesante, fino al punto cruciale.
Marianna Zito