I Grace n Kaos e il nuovo singolo “La dedica del DJ” – L’intervista
Il 22 maggio è uscito il video di “La dedica del DJ”, il nuovo singolo della band veneta Grace N Kaos. I Grace N Kaos sono nati nel 2008 e la loro musica si esprime con un rock alternativo ed elettronica; nel 2014 hanno vinto il premio speciale di Rock Targato Italia e poco dopo il loro EP di debutto “Grace 14.7”, nel 2016 è la volta del secondo EP “Sogno d’Aprile”, nel 2018 invece è la volta dell’album “Bambino”; nel 2019, con il brano “Nero” vincono il Premio Voci per la Libertà di Amnesty International Italia. I Grace N Kaos sono: Gianluca Casazza (voce), Federico Andreotti (basso), Massimo Tabacchin (batteria), Davide Pelà (chitarre), Stefano Sottovia (chitarre), Cristiano Tomiato (piano e sintetizzatori). Abbiamo fatto qualche domanda alla band per conoscerli meglio.
Innanzitutto, benvenuti! È uscito il 22 maggio il vostro nuovo video “La dedica del DJ”, ambientato nella “discoteca degli esclusi”, ovvero gli emarginati che stanno a guardare, secondo voi qual è un modo per trasformare l’emarginazione in coinvolgimento?
Ciao Roberta, grazie del tuo tempo e dello spazio che ci dai per raccontarci.
Accettarsi è il primo passo da fare. Speso l’emarginazione deriva da un’autoesclusione. Il non sentirsi all’altezza delle aspettative o soffrire molto il giudizio degli altri. Ti faccio un esempio partendo da un ambito molto semplice come quello delle amicizie che tutti conosciamo. C’è sempre in compagnia un amico/amica che non inviti mai. Se ci pensi spesso è iniziato con l’autoesclusione, è una persona che non si fa mai sentire e quando c’è è in disparte. Non entra nei discorsi del gruppo e altre volte si è negata. Questo ti porta poi a non prenderla in considerazione e diventa esclusa pur sapendo che è una persona che vorresti integrare. Purtroppo non puoi “salvare” chi non vuole farsi aiutare. Questo escludersi esiste ad ogni livello. Conosco persone ricche con vite tranquille ma molto tristi ma anche persone molto povere con una storia di vita difficile ma che mantengono sorriso e dignità. Il modo per trasformare emarginazione in coinvolgimento è tendere una mano, un sorriso a chi vedi in disparte mentre se sei tu l’emarginato, iniziare a capire che siamo tutti esseri umani, ognuno con le sue storie, forze e debolezze.
Il singolo “L’esigenza di muoversi” è uscito a marzo, un brano che identifica benissimo il bisogno di buttare fuori, di sfogarsi, ma è anche un momento per se stessi, in cui si suda e si fatica, un quadro perfettamente calzante per quest’anno; rappresenta anche l’esigenza di vivere? Come avete vissuto il fermo dovuto all’emergenza sanitaria?
Hai centrato in pieno il senso del brano. Nulla da aggiungere. Rappresenta l’esigenza di vivere, di sentirsi vivi, liberi. Chi è Runner o gli sportivi in generale conoscono molto bene questa sensazione. La fatica, il raggiungimento del proprio obiettivo, la sensazione di libertà che una corsa all’aria aperta può dare e lasciarsi alle spalle i problemi quotidiani liberando la testa tramite le gocce di sudore che scivolano via. Credo che a tutti sia mancata la possibilità di muoversi liberamente, di vedere persone, di uscire di casa. Personalmente durante il Lockdown ci sono mancati proprio i rapporti personali con la band. Siamo abituati a vederci 4/5 volte a settimana per lavorare, ma anche per divertirci assieme. Un’idea ancora romantica di band come famiglia allargata a cui teniamo particolarmente e che condividiamo ancora con ex membri transitati dai Grace negli anni ma con cui abbiamo ancora rapporti solidi. Per quanto riguarda il tempo a disposizione in realtà non è cambiato niente, anzi abbiamo lavorato ancora di più e non ci siamo annoiati. Grazie alla tecnologia ci siamo concentrati a distanza sulla pre-produzione delle nuove canzoni, scambiandoci idee e parti musicali. Non è come lavorare in sala prove assieme, ma oggi con un pc portatile fai davvero molto e siamo quindi riusciti a portarci avanti rispettando la tabella di marcia. In tre mesi sono uscite 3 nuove canzoni ultimate e molte bozze, proprio in questi giorni siamo in studio a registrare.
I vostri testi parlano della natura umana che, abbinati al vostro sound che mescola rock ed elettronica trasmettono energicamente ogni messaggio: qual è il processo creativo della vostra musica?
Le idee vengono prese da ciò che ci circonda, che ci colpisce del quotidiano. Può essere una canzone liberatoria per un evento che abbiamo vissuto in prima persona o una presa di posizione su un argomento a noi caro. L’idea può nascere da un articolo di giornale, da un libro letto ma quelle che più ci appassionano sono le storie vere che ci raccontano gli ‘esseri umani’. Si parte quindi da un’idea di un componente, solitamente testo e semplice linea di accordi. Su 6 membri siamo in 4 che scriviamo ed in base a dove si vuole indirizzare la canzone creiamo un gruppo di lavoro di 2 persone che sviluppano l’idea fino ad avere una struttura ed una linea melodica semidefinitiva. Poi ci si trova in sala prove dove ogni componente crea la propria parte in una sorta di jam session e dà la propria visione sul brano in generale. Non di rado il cantante dà uno spunto creativo al chitarrista e viceversa. Facciamo alcune prove poi registriamo tutto. Uno di noi si occupa poi della pre-produzione e dell’arrangiamento dei brani dove viene tolto il superfluo, cambiate alcune parti ed aggiunte altre ed altri strumenti se necessario mentre il cantante si occupa dei Cori. A lavoro finito ci si ritrova ad ascoltare i brani assieme ed a raccogliere nuove idee poi si fanno le ultime modifiche. A questo punto consegniamo le canzoni allo studio di registrazione e diamo indicazioni di come dovrà essere il brano. Lì registriamo le parti predefinite e attendiamo il risultato finale. Essendo in 6 abbiamo dovuto dividerci alcune fasi di lavoro in base alle competenze e lavoriamo sulla fiducia reciproca. In questo modo riusciamo ad essere abbastanza veloci senza litigare di continuo. Perché in una band numerosa è impossibile pensarla tutti allo stesso modo.
Nel 2017 e 2018 avete collaborato con Roberto Pinato per due musical, “Inferno” dalla Divina Commedia e “La fabbrica di cioccolato”, come è nata questa collaborazione?
Tutto è nato una sera di alcuni anni fa. Abbiamo suonato nella nostra città per un Festival dove lui era nell’organizzazione. Ci ha poi contattato attraverso amicizie comuni per un concerto live anche l’anno successivo dove ci siamo poi conosciuti personalmente e proposto di realizzare “Inferno” in chiave rock. Di “Purgatorio” e “Paradiso” se ne sono occupati una band Jazz ed un coro Gospel. Probabilmente giusto negli inferi dovevamo finire. Scherzi a parte, è stata un’esperienza molto impegnativa perché abbiamo dovuto coniugare una rock band con le esigenze di teatro. Le musiche in questo caso le abbiamo realizzate contaminandole con strumenti classici come archi e fiati per essere riproposte da un’orchestra nei teatri. Successivamente ci è stato anche chiesto di occuparci degli spettacoli e diventare parte della rappresentazione. È stato bellissimo, un esperimento ed una scommessa perché suonare live con i tempi e le dinamiche teatrali è veramente complesso. È andato tutto bene, ci siamo divertiti e questi spettacoli ci hanno dato la possibilità di farci conoscere ad un pubblico che non è il nostro solito target. Saremo sempre grati a Roberto per aver creduto in noi ed averci dato questa possibilità. Nel 2017 ci ha richiamati perché dovevano andare in scena con “La Fabbrica di Cioccolato” ma le musiche originali del film di Tim Burton non si sposavano con i tempi e le esigenze sceniche di uno spettacolo teatrale dal vivo. Abbiamo così rivisitato con molte modifiche strutturali e sonore tutte le canzoni del film in chiave moderna utilizzando moltissima elettronica per avere degli effetti cinematografici e creare pathos. L’unico rammarico è che per problemi di copyright non possiamo pubblicare quelle canzoni che non sono né covers né canzoni originali. La cosa importante è che anche questo spettacolo di Pinato è stato Sold-out ed e stato divertentissimo. Inoltre l’abbiamo obbligato a prendere parte come attore nel nostro spettacolo #HUMANCIRCUS 2018.
#Humancircus è il vostro spettacolo che riunisce diverse arti, un’organizzazione notevole che richiede anche spazi diversi: è vostra intenzione, non appena sarà possibile, pianificare altre date? Come avete avuto l’idea di questo bel progetto e quali sono stati fino ad oggi i riscontri?
L’idea è nata quando dovevamo preparare lo show per l’uscita del disco “Bambino” a settembre 2018. Sapevamo essere un disco difficile, non di primo ascolto, dove i temi trattati nelle 10 canzoni erano tutti legati dal concetto di “Essere umani” nell’era moderna. Dovevamo quindi trovare il modo di comunicare questi concetto agli spettatori, volevamo che entrassero nei testi, nel senso delle canzoni, volevamo farli divertire ma al tempo stesso emozionarli e lasciare in loro un segno ed una riflessione da portarsi a casa. Per renderlo possibile abbiamo creato da zero tutta la parte dei Visuals e dei video in background, con i nostri limiti certamente, ma che hanno reso possibile allo spettatore di capire subito di cosa si stesse parlando nelle varie canzoni. Abbiamo preso spunto dalla comunicazione moderna e diretta di Steve Cutts per i visuals e dal fotografo Steve McCurry per la comunicazione emotiva. #HUMANCIRCUS è costato un anno intenso di lavoro dove abbiamo messo dentro le competenze maturate in teatro integrando con attori, ballerine e musicisti classici la nostra musica. È come essere sulle montagne russe dove le emozioni entrano, forti, e si susseguono alternandosi. Per scelta non abbiamo mai pubblicato nessun video (solo il trailer sul nostro canale youtube dove si vede pochissimo) perché è un percorso logico solo se lo vivi dall’inizio alla fine dei 55 minuti della sua durata. Parte e finisce senza interruzioni, senza bis, senza parole in più ricordandoti che sei un essere umano a prescindere da chi sei e dove sei nato. I riscontri sono stati più che positivi. Tutte le date eccetto una sono state sold out ma al di là dei numeri sono state proprio le parole degli spettatori a convincerci di aver fatto per la prima volta qualcosa di veramente buono. Per noi piccoli è importante. È però uno spettacolo costoso, impegnativo da portare in tour e necessita di tempi di allestimento scena molto lunghi e spazi ampi. Senza contare che coinvolge 15 persone in totale. Non puoi quindi portarlo ovunque e spesso. Avevamo 2 date fissate quest’anno ma per Covid sono saltate, ma ne faremo altre perché #HUMANCIRCUS è stabile nel nostro repertorio ed affiancherà il nuovo show che stiamo preparando per il nuovo disco ed avrà come tema il “movimento”.
Nel 2019 avete vinto con “Nero” il Premio Voci per la Libertà di Amnesty International Italia, un riconoscimento importante, come avete concepito il brano e come avete coinvolto il rapper El Bombasin e il trombettista Andrea Smiderle?
Il brano “Nero” è nato prendendo ispirazione da un articolo di giornale che parlava del dramma del “caporalato”. Nero è un gioco di parole perché si parla di lavoro nero e di sfruttamento del lavoratore. Questa schiavizzazione ci ha fatto pensare al popolo di colore nei campi di cotone Americani. Qui regnava la povertà ma anche la musica e nel blues la presenza dei fiati è forte. Ecco spiegato l’assolo di tromba dell’amico Andrea Smiderle, in prima battuta realizzato col Sax poi dirottato sulla tromba per avere una certa ‘solennità’ nel rispetto del tema della canzone. Volevamo inoltre un brano di concetto che strizzasse però l’occhio ai giovani e l’abbiamo ottenuto inserendo la parte rappata di francese ad opera di Mike “El Bombasin”. Questo secondo noi ha dato una sorta di internazionalità alla canzone e ci riporta alla mente il colore nero dei popoli delle colonie francesi in Africa. Questi spesso sfruttati dai caporali dei nostri campi.
Quando uscirà il vostro nuovo album?
Presto e non vediamo l’ora. Il nuovo Album è ora previsto a metà del 2021, ne abbiamo posticipato la pubblicazione per poterlo affiancare al tour nei club e nei festival. Ora non ci è possibile a causa della temporanea mancanza di linee guida sugli spettacoli live causa Covid. Continueremo però a far uscire nuovi singoli con cadenza di due mesi l’uno dall’altro per poi racchiudere il tutto in un disco. Il prossimo singolo sarà “Gelati” ed uscirà il 17 luglio, parlerà dell’estate e dei ricordi belli.
Come vi siete incontrati e da dove viene il nome Grace N Kaos?
Ci conosciamo da sempre. Viviamo in un paese sperduto nel delta del Po. Da piccolo potevi fare 2 cose: giocare a calcio o suonare uno strumento. Non c’era davvero altro da fare ed essendo noi pessimi sportivi la scelta è stata obbligata. Ognuno di noi ha militato in altre band prima ma essendo i Grace attivi dal 2008 tutti conoscevano la nostra storia nella piccola provincia di Rovigo. È un gruppo che malgrado vari cambiamenti di formazione e difficoltà non si è mai fermato facendo parecchi live all’anno proponendo solo canzoni originali. Questo è appetibile per un musicista che vuole fare musica propria. Quindi ad ogni cambio di componente abbiamo dato la preferenza alle richieste che arrivavano da parte degli amici a noi vicini e ci siamo ritrovati a suonare tra persone che l’anno prima andavano al mare assieme (e facciamo tutt’ora). Alla fine abbiamo capito l’importanza di essere una band, solo se hai un legame interpersonale forte puoi superare le delusioni e le frustrazioni della musica andando avanti assieme. Il nome deriva da GRACE come tributo a Jeff Buckley, artista scomparso prematuramente, al quale poi nel 2017 abbiamo affiancato N KAOS inteso sia come traduzione del nome dall’inglese “Grazia e Caos” riferendoci allo sviluppo delle nostre canzoni musicalmente ibride ed inteso anche come “Grace nel Caos” a ricordarci il periodo difficile in cui tutto andò storto e ci stavamo per sciogliere. Ma questa è un’altra storia… Grazie Roberta, un caro saluto a tutti.
Grazie di cuore a voi!
Roberta Usardi
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