“Fotogrammi di un film horror perduto” dell’autrice scozzese Helen McClory
Possiamo immaginare “Fotogrammi di un film horror perduto” (IlSaggiatore, 2020, pp. 184, euro 18) come uno zapping televisivo riportato su carta, o ancora meglio, come la visione di numerose clip da YouTube, alla ricerca di frammenti, frames, scene da film dell’orrore o fantastici e grotteschi. L’autrice scozzese Helen McClory ci riporta storie, alcune brevissime, altre brevi, di personaggi e luoghi che mischiano il reale con l’immaginario. Un ciclope, il diavolo in persona che ordina un caffè in una tavola calda, una strega che lievita nella foresta nella quale corrono dei ragazzini che si fanno domande sulla morte, una donna che, anziana, cade letteralmente a pezzi:
“Quando alla ragazza, ormai una donna anziana, fu chiaro che non le restava molto da vivere, chiese al marito di fare un’ultima cosa per lei. O meglio, decise di fare un’ultima cosa per lui. Quando sarò morta, gli disse, potrai togliere il nastro. Ma non prima. E così morì, soffrendo un po’, ma senza tribolare troppo, nel letto che avevano condiviso. Il ragazzo, ormai un uomo anziano, slacciò debitamente il nastro dalla gola di quella che era stata sua moglie. E la sua testa si staccò. Il marito fece un balzo indietro, scioccato, e afferrò il braccio morto della moglie. Lì, sul polso, vide un altro nastro che non aveva mai notato prima. Era del colore della sua pelle e più sottile del nastro al collo. Afferrò le forbici e lo tagliò: la mano si staccò dal polso, senza sanguinare. La raccolse. Era la sinistra. C’era la fede nuziale, d’oro con un piccolo zaffiro. Sotto l’anello c’era un altro nastro. Zac. Il dito si staccò. Guardò le altre dita. C’era un nastro su ognuna. Un dito dopo l’altro, caddero tutti, anche il pollice. Posò quel palmo monco e si girò verso il corpo senza testa e con una sola mano che giaceva sul letto.”
Lo stile narrativo della giovane McClory è realistico, ci immerge in vite e atmosfere quotidiane, ma basta l’introduzione di un elemento stridente con la realtà conosciuta per trasportarci di colpo nell’onirico, in visioni figlie del nostro immaginario figlio del postmoderno, dell’intreccio tra vita reale e i sogni di un’opera che prende vita e abita il nostro mondo. Proprio per questo, il primo racconto della raccolta, Ragazza bella morta si prende una pausa ci sembra il manifesto dell’intero spirito della raccolta: la giovane ragazza che nello schermo è appena morta, si rialza, si spoglia dagli effetti di plastica coi quali è vestita e, dopo aver espresso la voglia di una sigaretta, entra/esce dallo schermo di una tv per farsi un caffè, mangiare qualcosa e guardare il film dal quale è appena uscita; ora la polizia ha trovato il posto nel quale era stata sepolta dal suo assassinio, ora la troveranno.
“Fotogrammi horror di un film perduto” è una raccolta di racconti che “normalizzano” il fantastico, il nostro immaginario derivato da film, romanzi e in genere dalla necessità d’essere parte di storie che ci coinvolgano. O che, come in questo caso, prendono il nostro posto.
Giovanni Canadè