“Camere separate”: appartenersi senza possedersi
“Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli (Classici Contemporanei Bompiani, pp. 301, euro 13) ha poco più di trent’anni, ma sembra scritto ieri, oggi, e chissà, forse anche domani, magari destinato a diventare eterno.
È la storia dell’amore di Leo per Hermann e per Thomas. Due amori diversi perché tra il primo e il secondo avviene il passaggio verso la maturità, la consapevolezza di sé, quello che si vuole dalla vita e dagli altri. Leo soffre nel comprendere la sua natura, nell’affermare le proprie esigenze, ma lo fa, a costo della solitudine. Lo fa per affermare e finalmente capire quel senso di diversità che fin da ragazzo lo ha attanagliato, lo ha spinto tra le braccia di una ragazza, a feste, festini, senza capire perché. Per questo è un romanzo eterno. Mette per iscritto sensazioni e passaggi che abbiamo tutti affrontato o ci troveremo ad affrontare, dovendo fare i conti con chi siamo per davvero, per natura. A quella non si sfugge.
“…si sentì profondamente umiliato, proprio ferito nell’intimo, per essere stato costretto a sopportare qualcosa contro la sua natura, per essere stato obbligato a dimostrare agli altri la cosa più stupida e insignificante di questo mondo, e cioè che lui era uguale a loro. Tanta fatica per qualcosa che per lui non rivestiva alcun valore.”
Come eternamente attuali sono alcuni dei temi che tocca. Il concetto di coppia e di amore, che sembrano sempre doversi uniformare a standard predefiniti e assoluti. È questo che Leo non vuole, essere catalogato. Vuole “camere separate”, un “rapporto di contiguità, di appartenenza ma non di possesso”. Eccola la difficoltà, forse l’impossibilità, di Leo di trovare pace: “Lui era certo del suo amore per Thomas, lo voleva per tutta la sua vita, fino alla fine. Ma non nella sua camera”. Non è egoismo, è l’amore vissuto come sogno, come quello dei libri e delle canzoni, ci dice Tondelli. L’orrore del grottesco e di diventare quelle caricature di sé che la gente si aspetta. L’idea amorosa di Leo fa i conti anche con l’omosessualità vissuta negli anni ’80. Ma se Tondelli fosse ancora in vita, troverebbe le cose molto cambiate? Sa quasi di preveggenza quando Tondelli scrive: “Solo bel futuro, solo fra molti anni, forse qualcosa cambierà. Nasceranno persone che tenteranno in altri modi di mettere in contatto i mondi diversi nei quali ognuno continua a vivere. Nascerà finalmente qualcuno per cui la memoria dell’entità ‘Leo-e-Thomas’ verrà accettata e custodita come un valore da cui trarre vita e speranza. Solo in futuro. Forse soltanto tra centinaia di anni”.
Tondelli ci ricorda anche il valore dell’infanzia e il concetto di radici, anche quelle fanno parte della propria natura e non si sfugge nemmeno a quelle. Suonano bellissime e familiari le pagine in cui Leo torna nella casa dei genitori, nel paese in cui è cresciuto. Sono pagine in cui ci fa respirare il senso di ritorno per chi si è trasferito in città, il sapore di vecchie tradizioni e scenette di famiglia che sembrano essere universali da Nord a Sud. “Io ho sempre voluto tutto Thomas. E mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa”.
Sarebbe bellissimo poter incontrare Tondelli, oggi, e chiedergli se il suo Leo ha risolto quel continuo senso di insoddisfazione, di non pienezza o se, ancora, è in eterna ricerca.
Laura Franchi