Apolide, il festival musicale del Canavese
Partendo da Torino, dopo la ridente (ma mica tanto) cittadina di Chivasso, vi è una strada che si protende verso nord. Siamo nel Canavese. Terra di zanzare, castagne e laghi glaciali. C’è Ivrea: Olivetti e il carnevale delle arance. Aglié: Gozzano e il meleto. Vidracco: federazione di Damanhur. Caluso: Erbaluce. Castellamonte: ceramiche e stufe. Torrazza: Amazon. Tra i tanti paesini c’è poi Vialfrè, che ovviamente nessuno aveva mai sentito nominare fino a quando è arrivato Apolide, festival musicale d’ispirazione coachelliana che ha avuto luogo dal 23 al 25 luglio. Un nome che è già un programma: siamo tutti di sinistra, giriamo senza scarpe nel fango, la camicia ce la togliamo perché fa caldo, fumiamo solo sigarette rollate, beviamo una bionda alla spina e poi un’altra e un’altra ancora, e abbiamo tutti il bucket hat. Tanti capelli lunghi, treccine, dreadlocks, pochi rasati. Una fauna umana piuttosto omogenea, insomma, ma per nulla selettiva e in fin dei conti bella, fresca, sgarzolina, aperta. Si legge sul sito: sgraditi imbucati, scrocconi, razzisti, violenti, sessisti, omofobi, transfobici, pedofili, antipatici, animali di qualsiasi taglia, animali pericolosi o bestie leggendarie, ladri, borseggiatori, vandali e piromani. Effettivamente l’atmosfera che si è creata era molto tranquilla, rilassata, cordiale. Bucolica ma anche giovane e, idealmente, inclusiva. Qua e là, puntini infinitesimali, alcuni borghesi. Rarissimi gli incivili, magari qualche idiota che gettava i mozziconi per terra, ma quello è un problema culturale che non abbiamo mai davvero risolto. Tre giorni sulle stuoie (gentilmente offerte da Synergie), o direttamente spanciati sull’erba dell’area naturalistica a due minuti di macchina dal borgo. Parcheggio gratuito (e se si è fortunati, all’ombra degli alberi). Dichiarazioni varie di carattere pandemico, temperatura, biglietto: trenta euro per un giorno, settantacinque per tre. Non male. Decine e decine di ospiti, fra cantanti, musicisti e artisti di vario genere: Cosmo discute con un sociologo sulla musica elettronica, Nervi presenta il suo nuovo EP, e poi le drag queens, la gente del circo, tanti deejay, innumerevoli emergenti e misconosciuti. Scalette molto ordinate, seguite rigorosamente: poche defezioni, fra cui i Tropea, cui è stato impedito di performare per via della pioggia.
Prevedibilmente, i momenti di punta (gli highlights, come dicono i giovani inglesizzati) sono stati tre. Venerdì: il concerto di Tutti Fenomeni. Sabato: il concerto di Margherita Vicario. Domenica: il concerto di Fulminacci. Giorgio Quarzo Guarascio (Tutti Fenomeni) ha portato Merce Funebre, cantato tutto con quel broncio adorabile e misterioso che lo rende personaggio. La Vicario, vivacissima col top, la gonna lunga e le sneakers, ballava sui suoi successi e tentava di arginare l’assembramento che stava formandosi durante i singoli più noti. Il giorno dopo, comunque, gli organizzatori hanno risolto il problema alla radice, sistemando delle panche distanziate per Fulminacci, perfetto borghese in borghese nella sua sexy salopette di jeans.
Un’occasione sicuramente gradevole, allegra, divertente, economicamente affrontabile, facilmente raggiungibile. Tre giorni di musica nella natura, peraltro in totale sicurezza se si considera il timore del contagio, che colpisce ancora qualcuno ma che non impedisce di superare ampiamente i millecinquecento ingressi. Ci auspichiamo vivamente che il festival, ormai alla sua diciottesima edizione, prosegua anche nei prossimi anni.
Davide Maria Azzarello
In fotografia: Margherita Vicario