ALLE NOVE E TRENTASEI CIRCA, UN BUCO NELL’ACQUA
“Perché il mare mi vuole bene
E mi trattiene nella corrente”
Caparezza – Il teatro degli orrori
Ci sono un francese, un italiano e. No, aspetta, ci sono un cristiano, un musulmano e un induista, no quello è il musulmano, no, aspetta. Non sono la stessa cosa. Ci sono un ebreo, un aviatore e un sarto, forse era un calciatore. Insomma, ci sono tre persone su una zattera, distinte, ben vestite, occhialini, il panciotto, addirittura un buon libro, un effetto straniante e bizzarro, merito della costumista Annalisa Ciaramella. C’è poi un palo centrale, sulla zattera, una croce, un punto di riferimento. Una radio che non funziona e che trasmette a tratti canzoni di un’Italia che non c’è più. Un’Italia che stentiamo a ricordare anche noi ma che va sempre di moda. La radio funziona sempre allo stesso orario. Alle nove e trentasei circa, ma non lo sappiamo veramente perché l’orologio non funziona, e poi che importa? Anche io ho un solo orologio, un ricordo di mio padre, non funziona e lo metto in rare occasioni importanti, segna l’ora esatta due volte al giorno, forse proprio in questo momento. Portare con sé pezzi di vita e della propria storia, questo è quello che conta. Per non dimenticare e magari un giorno tornare, che non tutti vogliono andare via. In mezzo al mare, in mezzo al nulla non c’è tempo che regga, non ci sono minuti che passano e le ore sono interminabili, soprattutto quando non si parla. E l’unico tempo buono è quello che rimane per arrivare a Lampedusa. Ma sarà davvero Lampedusa l’isola davanti a noi? Potrebbero ingannarci e riportarci indietro. È già successo e potrebbe succedere ancora. Perché, del resto, è sempre meglio pagare dopo, una volta arrivati. Sarebbe sempre meglio. Alle nove e trentasei si ricomincia sempre tutto da capo. E allora voglio ricominciare anche io.
“Buco nell’acqua” parla di naufraghi, immigrati; racconta di persone che affrontano un viaggio disperato lungo a volte anni, costretti a lavorare per pagarselo, parla di terrorismo e guerre sante, parla di Dio, quello giusto e quello ancora più giusto, parla di lavoro e dell’Italia, della cattiveria umana o forse solo dell’uomo. Parla di fratelli che si riconosco tali nelle difficoltà per poi riscoprirsi lupi in mezzo ai lupi, parla di rabbini e induisti, degli zii d’America italiani. Racconta di promesse e false speranze. Racconta la storia, la nostra storia recente, o forse quella vecchia di diecimila anni, e lo fa con il sorriso sulle labbra. Si ride tantissimo durante lo spettacolo, ridiamo di terroristi che si fanno saltare in aria e di maiali, quelli buoni da mangiare, di persone morte in mare, di donne ammazzate, che poi tanto è sempre colpa loro, delle donne, non dei morti. Almeno così diceva mio padre. Ridiamo perché così vogliono il regista e autore Mirko Di Martino e gli attori Antonio Buonanno, Orazio Cerino e Marco Mario De Notaris, bravissimi nei tempi, nelle risposte, nel rapportarsi e confrontarsi tra di loro su questa zattera della speranza. Ci muoviamo con loro cercando di ristabilire un equilibrio interno e di non farci venire il mal di mare, perché il barcone si muove davvero e noi con loro siamo davvero tra le onde, abbiamo sete e i piedi grossi: ora sappiamo anche perché. Tutto questo è possibile grazie alle scene di Gilda Cerullo e ai ragazzi dell’Accademia di Napoli. Ridiamo, tutto ci fa ridere e sorridere, per poi renderci conto che è un sorriso amaro.
Me ne sono accorto alla fine, fuori dal teatro, una volta tornato a casa. Quello che mi era rimasto in testa non erano le risate, ma la tragedia che ci veniva raccontata e, allora, tanto di cappello a “BUCO NELL’ACQUA” – al Teatro TRAM di Napoli fino al 28 ottobre – vincitore del “Premio di drammaturgia Emma Sorace 2016”, perché non è facile prenderci a schiaffi in faccia e farci sorridere allo stesso tempo. Ti ritrovi in bagno davanti allo specchio e scopri di avere le guance rosse, livide, non un solo lato, ma proprio tutta la faccia, hai prestato anche tu l’altra guancia come Gesù. Allora ti metti a letto e forse sorridi, di un sorriso come una medicina buona e cattiva allo stesso tempo, righi il cuscino con qualche lacrima, pregando un po’ e chiedendo grazie sempre a Dio, quello giusto s’intende.
Antonio Conte