“Un’altra donna” di Kang Hwa-Gil: una storia di violenza
Kang Hwa-Gil con “Un’altra donna” (Elliott Edizioni, pp. 296, euro 18), ci introduce verso il tema della violenza sessuale. Senz’altro è un libro duro e forte, molto riflessivo. Oggigiorno il riconoscimento delle diverse forme in cui si manifesta la violenza sessuale contro le donne è sempre più un tema che si sta facendo strada nella coscienza sociale, attraverso la segnalazione di situazioni specifiche o di violenza in generale. Anche se bisogna riconoscere che non è mai stato facile per le donne raccontare la violenza sessuale che hanno subito. Non c’è ancora una cultura sufficientemente sviluppata di credibilità nei confronti delle vittime che consenta loro di essere ascoltate senza pregiudizi. Rompere il silenzio, raccontare ciò che è stato vissuto e come è stato vissuto, dirlo alla società, rappresentano azioni che di solito le donne sono state educate a tacere e a cercare di dimenticare. Ciò che viene dopo è un’esposizione pubblica in cui i media contribuiscono a porre l’attenzione sugli elementi che possono causare molti danni alle vittime e che contribuiscono alla loro ri-vittimizzazione o allo stigma dei loro cari. Questo implica in molte occasioni, il ricorso a fonti non informate sui fatti, scarsa conoscenza della vittima o che amplificano le idee stereotipate su di loro.
“Un’altra donna”, riprende tutto questo. La protagonista, Jin-a accusa il suo collega e fidanzato per abusi sessuali, ma a lui viene inflitta una pena lieve, ed è per questo che prende coraggio e decide di raccontare su Internet come è stata abusata, non ottenendo sostegno dagli altri. Anzi, la svolta improvvisa arriva con un commento fuori luogo, lasciando intendere che è una bugiarda ed è lei quella da incolpare per tutto quello che è accaduto. Da una vittima innocente, Jin-a viene rapidamente ritratta come una poco di buono.
La giovane autrice mette a nudo una generazione che ha imparato che entrambi i sessi sono uguali fin dalla tenera età, ma in realtà così non è. Se per anni sentiamo continuamente parlare di “femminismo”, in realtà per la società la donna di solito rappresenta il carnefice, colei che invoglia l’incidente. La società spaventa, evidenzia le conseguenze sulle vittime, ma non sugli aggressori, contribuisce al giudizio sulle loro relazioni e a colpevolizzarle. La società rende la sofferenza delle donne invisibile, dubitando della loro credibilità, voltandosi dall’altra parte, fino a essere complice dell’impunità dell’aggressore e di non riparare, né giudizialmente né socialmente al danno causato dalla violenza sociale. Kang Hwa-Gil, con il suo testo, affronta un tema contemporaneo, descrivendolo in modo diverso, da giovane donna “femminista”, con una scrittura che ti logora e penetra allo stesso tempo, dandoti quel senso di angoscia che la protagonista ha vissuto e quel senso di inadeguatezza nei confronti della società, che fa male ma che ti porta a riflettere. Una lettura toccante, forte e malinconica, ma necessaria.
Assunta Cecere
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