“Non domandarmi di me, Marta mia” al Teatro delle Moline di Bologna

L’irruzione improvvisa della morte spazza via in un sol colpo tutte le certezze e fa emergere la nostra fragilità. È quello che succede a Marta Abba dopo aver appreso della scomparsa del drammaturgo Luigi Pirandello. Così lei, donna forte e granitica, in scena si ritrova ora vulnerabile e sola nella sua camera.
A descriverci questo momento è Elena Arvigo protagonista di “Non domandarmi di me, Marta mia”, testo scritto dalla drammaturga e giornalista Katia Ippaso, e diretto da Arturo Armone Caruso, in scena a Bologna al Teatro delle Moline il 24 ottobre.
Il 10 dicembre del 1936 mentre Marta Abba sta recitando al Plymouth Theatre di Broadway muore Luigi Pirandello. Quella notte in una stanza di Manhattan, non molto distante dalla Fifth Avenue di fronte alla cattedrale di Sant Patrick, Marta la passa sveglia. Sparge sul letto e sul pavimento della camera la corrispondenza che dal 1926 al 1936 aveva tenuto con Pirandello: 500 lettere, per la precisione. Lettere che parlano del senso dell’arte, di cosa si vale realmente e dell’incombere della vecchiaia. Con voce velata e rotta dalla commozione e dal dolore incredulo della perdita, la Arvigo ci legge alcuni passi di queste lettere, dove traspare il rapporto elettivo, “un fatto di esistenza” tra il maestro e l’attrice. Lei musa ispiratrice delle eroine pirandelliane e lui gentilissimo uomo siciliano correttissimo e all’antica, si incontrarono per la prima volta nel 1925 quando Marta non aveva ancora 25 anni e Pirandello ne aveva compiuti 58. Il maestro l’aveva scritturata senza conoscerla perché la giovane attrice era stata lodata da Marco Praga, il più esigente dei critici di allora. Per Pirandello diventerà un amore ossessione, quell’amore ispiratore di ogni suo dramma al quale Marta si sottrae con superiore distacco senza lusinghe nè ammiccamenti, a cui però risponde sempre gentilmente. Solo ora, di fronte a quest’irrimediabile mancanza, sola in quella camera d’albergo, la donna tentenna, si pone delle domande, ma è troppo tardi.
Michela Bruschini
Fotografia di Manuela Giusto