“L’ultima parola sul pane”, la poesia di Fuad Rifka
“Poi, maturato,/ i suoi occhi vedono la luce/ ed eccolo poeta:/ dimenticando la poesia”
“L’ultima parola sul pane” (pp. 88, euro 13) è l’unico libro che troviamo nella traduzione italiana del poeta siro-libanese Fuad Rifka e possiamo sfogliarlo nuovamente grazie ad AnimaMundi Edizioni, all’interno della Collana Cantus firmus, nelle traduzioni di Piero Bruno, Adnan Haydar, Paolo Ruffilli e Aziz Shihab. Le poesie sono arricchite, in questo piccolo volume, da una premessa di Tomaso Tiddia, le fotografie in bianco e nero di Dino Ignani, un testo di Paolo Ruffilli, un’intervista del 2008 di Ottavio Rossani e le parole di Rossana Abis.
“La poesia è come il pane: semplice e sacra. È un filo elettrico in grado di connetterci con l’infinito, con la natura, con l’anima del mondo”
La poesia di Fuad Rifka è semplice e sacra come il pane, appunto. È una connessione con il resto del mondo, con il nostro passato, con gli amori persi e mai tornati. È qualcosa che ci rende sconosciuto anche ciò che conosciamo e ci appartiene. “La sua poesia è un bagno sanante nell’oblio” scrive Tomaso Tiddia, un continuo rinnovamento, una voce cosmica, un riaffiorare e rifiorire nell’eterno rimpianto che ci attanaglia in questa vita. Quell’andare senza mai arrivare verso il mondo da cui siamo arrivati. La sesta poesia è ciò che in questo mondo ci manca.
“Fossimo senza ricordi, come una roccia,/ noi ci potremmo riposare,/ ma siamo spazio, segno / e sopra l’orizzonte fumo e vento”
Marianna Zito