“La sonnambula” del Bellini diletta il pubblico del Teatro Sociale di Como
Il 24 ottobre è andato in scena presso il Teatro Sociale di Como “La Sonnambula”, opera semiseria di Vincenzo Bellini, con libretto di Felice Romani. Il regista Raùl Vàzquez ha superato se stesso, coordinando con sapienza sul palcoscenico un coro composto prevalentemente da giovani: sul podio Leonardo Sini che ha incatato gli spettatori. L’allestimento è in co-produzione con i Teatri di OperaLombardia e Ópera de Las Palmas de Gran Canaria.
L’opera, composta in appena due mesi nel gennaio e nel febbraio 1831, è molto cara a Como, poiché fu scritta in una città poco distante, Moltrasio; debuttò poi al Teatro Carcano di Milano il 6 marzo 1831. Vincenzo Bellini incontrò a Blevio, altra cittadina del territorio lariano, Giuditta Pasta, il soprano che la sera del debutto interpretò la protagonista Amina; l’incontro si svolse alla presenza di altri illustri intellettuali dell’epoca. Non è la prima volta che il lago di Como, con il suo incantevole paesaggio, ispira un’opera lirica.
Il primo atto inizia con i festeggiamenti per il matrimonio di Elvino e Amina; solo l’ostessa Lisa, innamorata dello sposo, è infelice e respinge ogni spasimante. Giunge un conte in viaggio che si stabilisce presso la locanda di Lisa; l’uomo porge i suoi complimenti ad Amina, scatenando la gelosia dello sposo. Quella notte il conte è intento a corteggiare Lisa, che fugge come giunge Amina in preda a sonnambulismo. La fanciulla addormentata, invocando il nome del futuro sposo, si rivolge dolcemente al conte, chiedendogli di abbracciarla. Il conte è imbarazzato, ma non approfitta della situazione e abbandona la stanza per non svegliare la sonnambula. Sopraggiunge l’intero villaggio per porgere i propri omaggi al conte e, scoprendo Amina addormentata nella stanza del conte, sospettano così un tradimento. Elvino rompe il fidanzamento mentre la ragazza si sveglia. Non sapendo come ha raggiunto la stanza del conte, Amina non riesce a trovare alcuna giustificazione.
Il secondo e ultimo atto si apre con Amina che cerca consolazione negli abbracci della madre e Elvino che, ancora innamorato, canta il proprio tormento interiore, tuttavia l’uomo si fidanza con Lisa. Il conte tenta di spiegare alla città che Amina è sonnambula, purtroppo non gli crede nessuno. Un fazzoletto dell’ostessa rinvenuto nella stanza del conte getta Lisa nella vergogna. Il topos del fazzoletto, presente anche nell’Otello di Shakespeare, costituisce un brillante colpo di scena che ricopre di disonore il personaggio di Lisa, che da questo momento scompare dalla scena. Elvino è disperato per il secondo tradimento subito in poco tempo, quando nella scena irrompe Amina in preda al sonnambulismo. Potendo così dimostrare di essere sonnambula e innocente, l’onore di Amina viene riscattato e si ripristina il fidanzamento.
I protagonisti, Veronica Marini (Amina), Gliulia Mazzola (Lisa) e Davide Giangregorio (il Conte) – vincitori dell’ultima edizione del concorso AsLiCo per giovani cantanti lirici – si sono dimostrati dei veri professionisti, nonostante la giovane età, e hanno incantato il pubblico con gorgheggi esperti e uno straordinario carisma. Risulta molto buffo e simpatico il personaggio del notaio, che colpisce lo spettatore nonostante il suo ruolo secondario. L’orchestra accompagna la voce dei cantanti con semplicità e la melodia degli strumenti trionfa solo nel brano finale dell’opera, che culmina in una delle più soavi arie per soprano: la celeberrima Ah, non credea mirarti, che Amina canta durante il sonno. Le scene di Sergio Loro sono molto semplici: una scalinata con delle vetrate costituiva la locanda di Lisa; nel secondo atto invece compare un prato fiorito e una pedana su cui la sonnambula fa un’entrata trionfale. Non compare alcun mulino e non sono presenti riferimenti alla Svizzera, perciò i fatti sono privati di una dimensione spazio-temporale. I costumi di Claudio Martìn sono novecenteschi, sebbene leggermente antiquati per conferire all’opera la dimensione della favola. La bianca camicia da notte e la vestaglia con lo strascico della sonnambula ben rappresentavano il candore della protagonista, facendola sembrare una sposa. Meritano di essere menzionate anche le luci di Vincenzo Raponi, che hanno creato una perfetta illusione di un temporale durante un cambio di scena.
Il sonnambulismo ha a lungo affascinato gli autori ottocenteschi; associato alla follia e alla dimensione onirica, è una patologia di cui sono affetti molti personaggi femminili tra cui Lady Macbeth, una delle protagoniste dell’opera di Verdi che andrà prossimamente in scena al Teatro Sociale di Como.
Valeria Vite