La compagnia Instabili Vaganti: il progetto “Beyond Borders” e la web performance “8 1/2 Theatre Clips” – L’intervista
La compagnia Instabili Vaganti negli ultimi mesi ha lanciato una web serie performativa dal titolo “8 1/2 Theatre Clips” (Italia – Iran, 2020) prodotta dall’Ambasciata d’Italia a Teheran. Le otto puntate della serie sono state scritte e dirette da Anna Dora Dorno e interpretate da Nicola Pianzola della compagnia Instabili Vaganti con la partecipazione del noto mimo iraniano Danial Kheirkhah diretto dal regista Ali Shams. Abbiamo raggiunto telefonicamente Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola per andare più a fondo sia di questa web serie, sia degli altri progetti che stanno portando avanti.
“8 1/2 Theatre Clips” è ispirato al film “8 1/2” di Federico Fellini, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita: qual è stata la genesi del progetto e come è nata la collaborazione con la compagnia iraniana Don Quixote Company?
N.P. Tutto nasce durante il primo lockdown, quando formuliamo un progetto di ricerca più ampio che si chiama “Beyond Borders – superare i confini”: io e Anna Dora cominciamo a connetterci alle piattaforme di web conferencing con vari attori, danzatori e artisti che in tutti questi anni hanno fatto parte dei nostri progetti internazionali, discutendo anche della situazione che stiamo affrontando e cominciando a interagire a distanza, creando le azioni performative in video e cercando un’interazione. Questo progetto è stato proposto anche agli Istituti Italiani di Cultura e Ambasciate d’Italia proprio per incentivare il dialogo interculturale e la collaborazione con artisti di altri Paesi. Il progetto viene poi accolto dall’ambasciata di Teheran che ci suggerisce non solo di concentrarci su una web video performance, ma di creare una serie ad hoc insieme. Ci viene suggerito un mimo, Danial Kheirkhah e un moderatore per quello che sarebbe stato il talk alla fine del progetto, durante il quale gli artisti si sarebbero presentati e avrebbero raccontato un po’ il lavoro svolto. Quindi da una parte troviamo il regista Ali Shams e Danial e dall’altra Anna Dora Dorno come regista e me come performer, una collaborazione alla pari che si sviluppa in otto episodi più questo talk. Poi mi è venuto in mente che otto episodi più il talk è “otto e mezzo”, e mi rendo conto che stiamo vivendo esattamente la situazione del personaggio del capolavoro felliniano, Guido Anselmi, che si ritrova in una sorta di crisi artistica isolato in un albergo, nel nostro caso una crisi imposta dalla pandemia e chiusi in casa, a riflettere su diverse questioni della propria arte, della propria poetica e anche del modo di comunicare, il rapporto con il pubblico e lo spettatore. Per cui ci lasciamo ispirare da questo capolavoro, che si inseriva nel quadro delle celebrazioni felliniane, e decidiamo di indagare su questo tema, che in realtà è il tema di come è cambiata la nostra vita con il Covid, e l’abbiamo contestualizzato e proposto dall’ambasciata. Il tema si traduce anche in suggestioni musicali con le composizioni originali di Riccardo Nanni e nei testi: da un lato quelli che scriviamo io e Anna Dora e dall’altro i frammenti poetici in lingua Farsi dall’Iran.
Il lavoro di montaggio, organizzazione e implementazione delle musiche come avviene e in quanto tempo?
A.D.D. Con l’Iran è molto difficile comunicare attraverso piattaforme come Zoom perché molte di queste lì non funzionano, quindi comunichiamo a sprazzi quando dall’Iran riescono a connettersi, ma cerchiamo intanto di dialogare molto tramite messaggi e le proposte video, scegliendo un tema da indagare, o un elemento; per esempio, nel primo episodio “Beyond the mirror” abbiamo deciso di lavorare sulla mascherina, che è la cosa distintiva di questo periodo. Ognuno di noi elabora la sua proposta artistica e la filma, dopodiché, quando riceviamo dall’Iran il materiale io decido la linea drammaturgica di tutto, montando i loro materiali con i nostri. Alcune volte continuiamo qui in Italia il lavoro per contestualizzare meglio il materiale che abbiamo ricevuto dall’Iran. In questo modo riusciamo a costruire una drammaturgia fatta di vari elementi, quindi sia di immagini, che poi sono le azioni di ognuno di noi, sia di testo, che solitamente viene composto in un secondo momento per amalgamare il tutto con la musica di Riccardo Nanni, che ha lavorato sempre anche per il cinema e ha un’esperienza grande in questo campo.
Al momento sono usciti cinque episodi della serie “8 1/2 Theatre Clips”, ne mancano tre. Nei titoli di coda del quinto episodio ho visto che, rispetto ai precedenti, la data di uscita dell’ultimo video è stata posticipata da metà dicembre 2020 a gennaio 2021, come mai questo slittamento? È possibile avere anche delle anticipazioni sui temi dei prossimi episodi?
N.P. Il motivo dello slittamento è positivo, una cosa che non ci aspettavamo. L’ambasciata a Teheran, in occasione del trailer di lancio di tutto il progetto aveva deciso per il primo episodio di organizzare un evento pubblico, una proiezione nella residenza dell’ambasciata, dove sono stati invitati, nel rispetto delle norme anti Covid, giornalisti, critici, operatori interessati di cinema. Dopodiché, ogni volta che è stato lanciato un episodio è stato creato un evento di questo tipo, e per il quarto episodio “Don’t call me hero”, legato al personale sanitario, sono stati invitati medici, infermieri, rappresentanti dell’OMS. Questa cosa mi è piaciuta molto perché aiuta a espandere il proprio pubblico, non si rivolge a spettatori interessati solo a cinema e teatro; dato che si parla di tematiche comuni, ognuno si puó immedesimare nel dialogo che abbiamo stabilito. Sono slittati un po’ gli appuntamenti perché, cambiando il clima anche a Teheran, passando da eventi in luoghi all’aperto ad eventi in luoghi al chiuso abbiamo deciso insieme all’ambasciata di prendere più tempo per poter organizzare gli eventi di lancio dei prossimi episodi. Il prossimo episodio avrà il tema del viaggio, la nostalgia del viaggio, la mancanza che tutti avvertiamo, soprattutto per noi come compagnia, il nostro lavoro è molto incentrato sul viaggio, le nostre performance, i progetti hanno una circuitazione mondiale: passiamo vari mesi in altri Paesi a lavorare con gli artisti locali, per cui è un elemento fondamentale del nostro lavoro che ci manca molto. È interessante secondo me anche come viene visto dal lato iraniano, perché è un Paese con delle limitazioni: viaggiare, uscire dall’Iran è a volte molto difficile, soprattutto per gli artisti, a meno che non ci siano collaborazioni internazionali consolidate. Questo è l’aspetto che andremo a indagare e che sentiamo possa riguardare un po’ tutti. Sugli episodi non abbiamo voluto fare una scaletta dal primo all’ultimo definendo i temi, anche perché sono tempi di cambiamento, passiamo attraverso diverse fasi: lockdown, poi la riapertura, poi un semi lockdown con sfumature colorate. Noi e l’Iran stiamo vivendo una situazione simile, siamo due Paesi molto colpiti, per cui cerchiamo sempre di farci ispirare dal momento. Sicuramente vorremmo indagare un aspetto insito nel progetto stesso, che è l’iper connettività alla quale ci stiamo abituando, questo essere frammentati in diversi schermi. È cambiato molto anche il nostro lavoro: tutto l’aspetto formativo viene diretto attraverso dei workshop online, sempre con partecipanti internazionali che riguardano il progetto Beyond Borders, per continuare ad aumentare le relazioni e le possibili collaborazioni. Sull’ultimo episodio stiamo ancora pensando, dipenderà anche dal nuovo anno, poi chiuderemo il tutto con un talk con gli artisti, vorremmo cercare di farlo live attraverso instagram perché è uno dei social che funziona di più in Iran, poi Danial ha quasi un milione di followers, quindi si raggiungerebbe un pubblico che non avremmo mai immaginato.
Ogni episodio è molto intenso, in particolare nel quarto “Don’t call me hero” mi hanno colpito due frasi: “la paura è un peso che mi permette di non abbassare lo sguardo” e “so che non posso salvarmi senza salvare l’altro”, dei concetti molto inclusivi, come state vivendo a livello umano questo momento?
A.D.D. Rispetto alla partecipazione e all’essere insieme, tutto il progetto parte dalla condivisione, dal fatto di sentirsi all’interno di un contesto ormai globale, dato che come artisti lavoriamo in varie parti del mondo. Chiaramente questo momento di difficoltà a livello globale non fa che ribadire questa situazione e la necessità, da parte degli artisti, di essere un’unica categoria, di ritrovarsi l’uno nell’altro anche a distanza. In questo momento all’interno del nostro progetto ci sono artisti da ogni parte del mondo, dall’Australia al Nord America passando per tutto quello che c’è in mezzo. È un aspetto del progetto Beyond Borders fondamentale: più del risultato, più del prodotto che poi realizziamo, è importante per noi il fatto di rimanere vicini, continuare a collaborare a livello internazionale, dialogare con varie culture, perché la chiusura delle frontiere limita moltissimo in questo senso e non vorremmo che le condizioni necessarie per arginare la pandemia vadano in qualche modo a distruggere una serie di relazioni e di rapporti importanti per la trasmissione di idee. Per noi questo è un elemento fondamentale che vogliamo ribadire con questo progetto, ma non è solo un discorso artistico, purtroppo anche a livello umano questa situazione sta creando diversi problemi e il fatto di essere vicini, di autosostenersi, ribadire di essere insieme è secondo noi l’elemento fondante del fare artistico in questo momento.
Con “Beyond Borders” avete stimato una durata e un’idea su dove potrà arrivare?
A.D.D. Siamo partiti pensando che fosse un momento transitorio, con la voglia di riempire il tempo di sospensione per poteci poi rivedere e reincontrare e avere un riscontro dal vivo in una residenza con tutti gli artisti che fanno parte del progetto. In questo momento i tempi si stanno allungando e crediamo che il progetto andrà avanti anche fino all’estate, abbiamo diverse collaborazioni in corso e un workshop che ci sta permettendo di conoscere nuovi artisti e instaurare nuove collaborazioni. All’interno del progetto ci sono diverse fasi, quindi non solo la creazione di performance in video, ma anche un forum internazionale di discussione che mira a coprire una rete molto più ampia, poi abbiamo come obiettivo quello di realizzare un documentario finale, un film che illustri tutte le fasi del progetto: le difficoltà iniziali, il processo di lavoro, le connessioni a distanza e chiaramente anche i risultati prodotti. Questo approccio documentario è quello che poi ci ha portato a realizzare un primo studio dello spettacolo “Lockdown Memory” che abbiamo presentato quest’estate al nostro festival PerformAzioni nell’unico momento in cui era possibile realizzare spettacoli dal vivo, che ha un approccio documentaristico, ma anche azione performativa dal vivo e il testo originale che guida in questo percorso autobiografico di sviluppo del progetto.
N.P. Ci sono altri progetti di “serie” di video performance, da creare con altri Paesi, che saranno programmati da gennaio a giugno dell’anno prossimo. Ci sarà una collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid e con Lucia Miranda, un’artista madrilena e la sua compagnia, con cui realizzeremo sette episodi sulle sette arti, e un’altra serie con l’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi, un progetto che si chiama “Video Dante” dove collaboreremo con una danzatrice indiana che ha fatto parte del nostro progetto per realizzare sette episodi sull’immaginario dantesco legato soprattutto all’Inferno. Il prossimo sarà invece con l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino, con un sotto-progetto che si chiama “La nuova via della seta” con tre artiste da tre città: Wuhan, Xi’an e Pechino.
Nel 2020 era stato ideato anche il progetto “Follow the angel”, che coinvolge anche il pubblico, ce ne parlate?
N.P. Sì, è stata un’esperienza emotivamente molto forte perché ci ha consentito di poter realizzare non solo qualcosa che viene visto, ma un’esperienza condivisa nel rispetto delle norme: si trattava di una camminata performativa della durata di circa due ore, nel parco dell’Abbazia di Monteveglio, perché l’idea era di seguire in parte la strada storica della piccola Cassia. Gruppi di venti persone seguivano la camminata, molto lenta, due ore di immersione nella natura e anche di riflessione, di sospensione del tempo, soprattutto in un momento in cui il concetto di tempo è stato un po’ stravolto da quello che è successo. Abbiamo realizzato quattro camminate performative ed è un’esperienza che vorremmo ripetere, magari la prossima primavera o estate. Tra l’altro alcune delle riprese video realizzate con i droni sono entrate a far parte del lavoro artistico con le artiste cinesi.
Ho letto che on demand sarà disponibile “Made in Ilva” per celebrare i dieci anni dal debutto di questo spettacolo, che effetto fa e come sentite questo spettacolo a dieci anni di distanza?
N.P. In vista delle celebrazioni dei dieci anni avevamo pensato a una serie di repliche dello spettacolo con una versione speciale appositamente pensata per questo anniversario, ma dato che non è l’anno giusto, accompagneremo questo percorso con la scrittura del libro e poi c’è in cantiere il progetto di realizzare un film teatrale sullo spettacolo. Dovevamo partecipare all’Experimental Theatre Festival di Shanghai, ma hanno deciso di farlo online, quindi il pubblico si potrà collegare dal 21 al 27 novembre e guardare lo spettacolo. È la prima volta che ci capita ed è una sensazione strana. Essendo abituato alla tournée e a stare con la gente e a vivere la città questa è una sensazione nuova, anche se siamo curiosi di capire se ci saranno dei feedback. Il tutto si concluderà con una conferenza, un simposio online, e in quel caso parteciperemo in diretta con un intervento. Tutti i festival che sono saltati hanno proposto di fare almeno una conferenza online, è sempre un modo per portare avanti delle collaborazioni con la voglia di fare un progetto insieme dal vivo quando si potrà.
Avete qualcosa da aggiungere?
A.D.D. Noi desideriamo sempre ringraziare i partner istituzionali coinvolti, che non solo consentono di sviluppare il progetto, ma anche di generare del lavoro in un momento in cui il lavoro non c’è. A volte non solo per noi, ma anche per gli artisti di altri Paesi, come quelli iraniani, che altrimenti sarebbero rimasti senza lavoro. È diventato un meccanismo per riuscire a sostenere gli artisti in un momento di difficoltà.
Roberta Usardi
https://www.instabilivaganti.com