“IL PADRE” AL TEATRO DELLA PERGOLA DI FIRENZE – RACCONTARE L’ALZHEIMER CON LEGGEREZZA
È di dolorosa attualità il lavoro del francese Zeller, “Il padre”, in scena al Teatro della Pergola di Firenze sino al 10 febbraio, con Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere. Si rappresenta il devastante progressivo avanzamento di una malattia purtroppo molto diffusa nel nostro tempo, il morbo di Alzheimer, per il quale non esiste una via di guarigione, ma solo una terapia che allevia il terribile male della perdita di memoria, della coscienza di sé, dell’autonomia della propria vita.
La scena asettica, luccicante, spigolosa e minimalista con divani di designer e poltroncine in plexiglass fa da contrasto con l’uomo attivo che è stato Andrea che, gradualmente ma inesorabilmente, perde le coordinate di una tranquilla quotidianità per smarrirsi in sogni e ricordi, desideri e malinconie che modificano i corpi, stravolgono ai suoi occhi i volti, confondono i tempi, cancellano i dettagli. Così momenti vissuti o desiderati compaiono e scompaiono dalla scena, i personaggi si sdoppiano e si mescolano in un presente che non è più attuale ma mixer confuso di passato remoto e giorni da venire. Inesorabilmente la malattia avanza e fiacca le energie e le speranze della famiglia che con amore cerca disperatamente di porvi degli argini, pur di non giungere ad una devastante decisione. Non c’è dunque solo il dramma del malato, ma anche il disagio progressivo e inarrestabile di chi lo circonda; si prova a volte, involontariamente, a sorridere, quando la rotta del tempo si perde a tal punto da far scivolare l’umana dignità in momenti di paradossale confusione, quando il ripetersi ossessivo di gesti e pensieri vorrebbe tendere a cementare una realtà che sfugge, quasi si volesse dimostrare l’esistenza di una razionalità ormai così lontana da non essere più nemmeno ricordo.
Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere sono bravi nel condurre lo spettatore, con leggerezza, nei labirinti mentali che l’Alzheimer sconvolge e devasta, anche se avremmo desiderato una maggiore partecipazione, un dolore incalzante, crescente, da contrapporre alla calma d’attesa che ci ha accompagnato per tutto lo spettacolo.
Francesco De Masi