“IL MAESTRO E MARGHERITA” – L’ANIMA NERA DI BARACCO AL TEATRO ELISEO
La firma di Andrea Baracco è un marchio dalle sfumature elegantemente grottesche, che riconosciamo a prima vista sul palcoscenico del Teatro Eliseo dove sarà in scena, fino a domenica 3 febbraio, il suo ultimo lavoro “Il Maestro e Margherita”, capolavoro indiscusso di Michail Bulgakov che l’abilità della riscrittura di Letizia Russo dirige teatralmente in tre direzioni: l’arrivo a Mosca di Satana e dei suoi seguaci a disperdere follia negli animi razionali, la storia d’amore tra il Maestro e Margherita, la decisione di Ponzio Pilato sulla sorte di Cristo.
Siamo sin da subito immersi nella scena arida e semibuia, con la tipica scenografia a scomparti da dove i personaggi si intravedono, escono correndo per attraversare tutto il pavimento scenico, addirittura riemergono dall’acqua per ritornare alla vita. Altri elementi scenici arrivano dall’alto o dalle fessure laterali, creando quell’interessante continuità con il resto del mondo oltre la scena: abbiamo di fronte una macchina infernale, come infernale è uno strepitoso Michele Riondino nelle vesti di Woland, che si palesa ai nostri occhi come un joker – con quel trucco bianco alla Pierrot, ispirazione della new wave degli anni ’80 – zoppicante e tenace, irriverente e burlone e terrificante, ovviamente. Quindi ridiamo, ci spaventiamo e soffriamo, ci ritroviamo all’improvviso anche noi sulla stessa altalena su cui si dondolerà Margherita – una Federica Rosellini discreta e leggiadra prima ma che ci mostrerà poi una totale forza disperata e liberatoria – in attesa dell’amato e tanto agognato Maestro: un afflitto, arreso e stanco Francesco Bonomo, autore di un eretico manoscritto su Cristo e Ponzio Pilato.
Qualcuno scrive sui muri, come già era accaduto in spettacoli precedenti, muri che richiamano prigioni e tuguri o – se vogliamo, addirittura l’inferno – da dove emerge tutto, anche la città, sempre Mosca, anche i luoghi: il teatro. È la Russia degli anni ’30 con le sue censure, la sua ipocrisia conformista, un luogo in cui la ricerca della verità si sovrappone costantemente alla realtà mentre la brama della ricchezza rende tutti i pronti a tutto, mentre Symphaty for the Devil riempie la sala e ci lascia riflettere su quanto sia irrisoria la vita, su quanto sia disposta a innalzarci per poi lasciarci capitombolare, senza preavviso, nel vuoto.
Marianna Zito
Foto di Guido Mencari