Francesco Vannini e il nuovo album “Non siamo mica le star” – L’intervista
Il 15 maggio è uscito “Non siamo mica le star”, il nuovo album di Francesco Vannini, il quarto della sua carriera musicale, ma il terzo da solista. Questo nuovo lavoro discografico è stato anticipato dal singolo “Iene”. Il disco si compone di nove tracce scritte, arrangiate, programmate e suonate da Francesco Vannini. Gli abbiamo fatto qualche domanda per addentrarci di più nella sua musica.
Nel 2012 hai avuto un enorme successo nonché svariati premi per “Bomboletta Spray”, un brano blues trascinante, contenuto nel tuo EP “Dinecessitavvirtù”, come ti venne l’idea di questa canzone?
Erano anni in cui Forza Italia al governo insieme alla Lega Nord cercava di far passare per buona e giusta l’idea che i privati cittadini si riunissero in ronde private per vegliare sul meritato sonno dei giusti. Se non fosse che, in quanto privati cittadini, il loro arsenale sarebbe stato limitato a un fischietto, forse un paio di mutande di ricambio in caso di spavento improvviso e della famosa bomboletta spray anti-aggressione. E io ho subito immaginato un bel ragazzo di colore dal fisico contemporaneamente asciutto e possente contro l’impiegatuccio di Segrate con la panza e mezza camicia fuori dai pantaloni ma con una pericolosissima bomboletta spray da agitare contro il male. Un panorama sociale che, se non fosse stato così smaccatamente razzista e populista, avrebbe anche potuto far ridere. Proprio in questa riflessione sulla “comicità”di questo quadretto rientra “Bomboletta spray”, dove racconto con ironia e leggerezza tutto questo stato di cose. Ti stupirà sapere che i premi più importanti vinti da questa canzone sono arrivati dal profondo Nord. Coincidenze? Io non credo…
È appena uscito “Non siamo mica le star”, ci racconti come è stato il processo creativo delle canzoni dell’album?
Credo che per la prima volta nella mia vita, testo e musica siano andati di pari passo per tutta la composizione del disco. Ero reduce da quello che ho sempre definito “L’album dell’urgenza”, cioè da “Tornando a noi”, dove per me era necessario e urgentissimo fissare su disco il mio stato d’animo di quegli anni. Poi un lavoro di produzione artistica suicida (alla quale spesso ho dovuto soccombere) e una promozione inesistente da parte dell’etichetta con la quale ero sotto contratto allora hanno fatto il resto. Come dicevo, reduce da quell’esperienza ho voluto cambiare “protocolli”, regole e, di conseguenza passo. Sono partito da zero e ho iniziato a mettere un mattone sopra l’altro preoccupandomi di dare la stessa importanza a testo e musica, al suono delle parole e a quello degli strumenti che di volta in volta sceglievo. In definitiva mi sono concesso il lusso, finalmente, di fare tutto a modo mio in modo da potermi responsabilizzare e prendermi al 100% sia i complimenti che le critiche! Sicuramente è stato il lavoro più duro mai fatto, anche perché per ironia della sorte, ho ricominciato a scrivere canzoni nello stesso periodo in cui credevo di aver chiuso la tracklist definiva del disco. Mi sono trovato così a dover prendere in considerazione anche le cose più nuove e riconsiderare l’elenco delle canzoni da mettere nell’album. Il risultato è stato che quasi la metà del disco è composta da canzoni recentissime.
Il video di “Iene” è molto originale, coloratissimo e in sintonia con il ritmo, una canzone dal testo estremamente attuale e dalle venature politiche, come anche “Cobalto”, pensi che musica e politica possano essere quindi un connubio vincente?
Musica e politica sono sempre state un buon connubio. Credo sia necessario però di volta in volta ricontestualizzare tutto. A un certo punto della nostra storia il cantautore era quello politicamente schierato, che scriveva canzoni impegnate, poi pian piano le maglie si sono un po’ più allargate ed è venuto fuori “l’anomalo” Bennato che parlava di politica coi personaggi delle favole, più avanti ancora sono venuti fuori i cantautori nostri contemporanei che, nonostante parlino di attualità e politica, non puoi considerare “impegnati” perché sarebbe riduttivo considerare solo quell’aspetto. Io credo che con la giusta leggerezza si possa trattare anche di politica e anzi credo che resti un dovere di ogni cittadino quello di esprimersi in tal senso, senza necessariamente schierarsi a destra o a sinistra.
Nel brano che dà titolo al disco usi quasi sempre un effetto sulla voce, che la rende robotica, come mai questa scelta di suono?
Il tanto vituperato AUTOTUNE! Se ne sono dette di ogni su questo strumento così particolare. In pochi si ricordano però che diventò “mainstream” grazie ad una canzone di Cher, sicuramente non l’ultima delle stonate sulla scena negli anni zero del duemila. Come si sia arrivati oggi ad associare l’autotune alla carenza di intonazione purtroppo dipende più da chi critica la musica piuttosto che da chi la produce. Sicuramente c’è gente che senza autotune non saprebbe cantare nemmeno “Fra’Martino campanaro”, però l’autotune è semplicemente uno strumento, un attrezzo del mestiere come può essere un coltello da cucina per un cuoco. Se il cuoco è pazzo può anche ucciderci un suo sottoposto, ma non nasce per quell’utilizzo! Io ho deciso di usarlo semplicemente perché mi piaceva l’effetto e perché secondo me canalizza ancora di più l’attenzione sulle parole che vengono cantate nei ritornelli.
In “Non siamo mica le star” hai composto, cantato, suonato, arrangiato, programmato, un one-man record, ma quando si tornerà a suonare dal vivo, a che tipo di formazione hai pensato?
Si prospetta un lungo periodo di crisi, su questo direi che non c’è margine di discussione. La mia idea live è di contrapporre la mia chitarra acustica e la mia voce a degli inserti di suoni più sintetici, a suoni di batteria elettronica e punto a fare tutto questo da solo, con l’aiuto della tecnologia oppure portando con me un musicista jolly che sappia dove mettere le mani tra drummachine, sintetizzatori, arpeggiatori e tutte quelle diavolerie elettroniche che tanto mi piacciono. Sicuramente dove e quando sarà possibile, tornerò a suonare in band, ma mantenendo questo taglio più contemporaneo che sto cercando in duo. Saremmo comunque non più di 4 elementi sullo stesso palco.
Hai iniziato la tua carriera musicale militando per cinque anni, dal 2006 al 2011, nei Marcello e i Qualsiasi, l’unica band tributo a De Gregori, ma anche una band per la quale tu hai composto dei brani inediti; poi le strade si sono divise e hai iniziato la tua carriera di solista che ha subito preso il volo. Sono passati nove anni, come sei cresciuto artisticamente?
Purtroppo non esiste un manuale da studiare per crescere artisticamente. Sicuramente esistono degli appunti di viaggio che, consultati di volta in volta, mi hanno permesso di non ricadere negli stessi errori del passato. Uno dei più gravi errori è sempre stato per me l’idea che possa esistere al mondo qualcuno che possa portare avanti le mie idee con più decisione di me. Ho imparato che non si può delegare l’impegno, che non si può delegare l’interesse, che il mio 100% non può mai essere paragonato al 100% di un musicista che suona nel mio progetto. Sono io l’artefice del mio destino e chi è in grado di starmi dietro è il benvenuto. Gli altri saranno lasciati indietro, senza polemica, senza rancori. In senso strettamente artistico gli anni aiutano a imparare il mestiere, così tante cose che prima per me erano complicate e richiedevano molta concentrazione, rientrano in uno schema di automatismi che mi permettono di fare in automatico alcune di quelle cose e avere abbastanza “ram” libera per occuparmi contemporaneamente di altre.
Quali sono gli artisti da te prediletti? Immagino sia presente Francesco De Gregori per ovvio rimando ai Marcello e i Qualsiasi…
De Gregori sicuramente, ma i classici cantautori italiani in generale. Per fortuna poi ascolto di tutto, quindi sono appassionato di Litfiba, Negrita, Vasco e il “rock” italiano. Sono molto appassionato di Max Gazzè e dei cantautori contemporanei, quindi Silvestri, Fabi, Bersani…ascolto con curiosità la scena emergente, quindi Gazzelle, Coez, Calcutta, Dente, Colapesce, Di Martino, Carnesi ecc…
Come hai vissuto il periodo di isolamento forzato, hai avuto ispirazione per nuove canzoni?
Per fortuna ho iniziato l’isolamento che il disco era pronto per uscire, dunque mi sono occupato di mettere appunto con Gabriele Lo Piccolo, il mio ufficio stampa, tutti i punti chiave della promozione e a produrre i videoclip, uno dei quali “Iene” è già in rete da un mese abbondante. Riguardo l’ispirazione, forse sono andato un po’ controcorrente. Mi sono reso conto che i miei pensieri in qualche modo erano “sporcati” dalla presenza della quarantena e non me la sono sentita di portare avanti questo argomento in musica, in un momento in cui invece attorno a me tutti hanno iniziato a scrivere canzoni sulla quarantena. Io non mi sentivo a mio agio ad approfittare di una cosa del genere per un mio tornaconto e poi credo sia troppo presto per elaborare tutto quello che è successo e che sta ancora succedendo. Magari più avanti, anche per esorcizzare la paura che questo soffio di storia ci ha portato, riuscirò a scrivere qualcosa a riguardo, chi lo sa. Nel frattempo mi sono occupato di altro, ho letto, ho studiato, ho fatto esperimenti di videomaking, ho mangiato troppo, ho visto serie televisive sul divano con mia moglie… Diciamo che nella mia vita quotidiana non è cambiato molto, ho sempre amato casa mia, dove ho i miei strumenti e tutto ciò che mi serve per stare bene. Ho solo avuto più tempo per godermi tutte queste cose.
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Intanto mi piacerebbe tanto che il mondo della musica per gli artisti del livello zero da cui provengo io, sia meno virtuale e fatto di più presenza fisica degli addetti ai lavori, dai musicisti più esperti ai giornalisti che ti seguono, fino alla gente che viene ai concerti. Oggi per noi è tutto molto virtuale, troppo virtuale. Se dovessi fare un solo nome, ti direi Max Gazzè. Apprezzo la sua sensibilità artistica e la sua capacità di rendere tutto ciò che fa totalmente riconducibile al suo stile che negli anni è diventato inconfondibile.
Roberta Usardi
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