“COPENAGHEN” DI MICHAEL FRAYN AL TEATRO ARGENTINA

Da un vortice di formule matematiche proiettato sulla scenografia nera di Giacomo Andrico, vengono fuori due figure sedute in un non-luogo in pendenza, che ricorda un’aula vuota dell’università di fisica. Capiamo che si tratta di un incontro post mortem.
Il grande fisico premio Nobel Niels Bohr (famoso per gli studi sulla struttura dell’atomo, interpretato da Umberto Orsini) e sua moglie Margrethe (Giuliana Lojodice), sono proiezioni, grumi di pensiero in corto circuito che si impongono, instancabili investigatori, di fare chiarezza su certi angoli oscuri della storia della fisica e della politica del ‘900. Attraverso una misteriosa pratica di recupero della memoria presentano al pubblico il quesito trasversale a tutto il dramma: cosa si dissero Bohr e il suo amato allievo Werner Heisenberg (Massimo Popolizio) nella famosa passeggiata del settembre 1941 a Copenaghen. Nella capitale danese, occupata dai nazisti, i due premi nobel si scambiarono misteriose informazioni. Il tedesco Heisenberg, formulatore del principio di indeterminazione che contempla un margine di incertezza anche nelle più sofisticate analisi di un fenomeno, può quindi manifestarsi in tutta la sua inquietudine. Non nazista ma responsabile del programma nucleare tedesco, si fa portatore di un corto circuito, più ossessivo degli altri e “agisce” il suo principio di analisi durante il triplice tentativo di ricostruzione. Come non si può davvero conoscere la natura intima di un fenomeno scientifico, così non riusciamo ad avere una visione chiara alla fine di questa giostra di possibili scenari, ipotesi e tentativi di separare lucidamente ricerca e politica.
Nonostante la complessità dei temi e la copiosità del materiale verbale con “Copenaghen” di Michael Frayn – al Teatro Argentina di Roma fino al 16 dicembre – lo spettatore non si annoia: la sobrietà della recitazione di Orsini ben equilibra quella pirotecnica di Popolizio. La regia di Mauro Avogadro va “dritta”, ci fa empatizzare istantaneamente con ogni punto di vista quando viene esposto. I due scienziati cercano spesso, fallendo ripetutamente, di adattare il linguaggio a un orecchio non tecnico, come quello di Margrethe, e come il nostro. Anche se ci perdiamo alcuni enunciati e aneddoti si può imparare una grande lezione: la contemplazione del “mistero” come istituzione è prioritaria rispetto alla nevrotica presunzione di possedere ed esercitare il controllo su un’altra istituzione: la verità.
I. R.