“Aparecida”, una storia d’amore e dignità
Si è scritto molto della dittatura argentina di Videla, ma “Aparecida” (gran via, 2021, pp. 224, euro 16) di Marta Dillon è uno di quei libri che mi hanno colpito di più, per la sua durezza, per il suo amore, perché nella sua unicità rappresenta un qualcosa in più rispetto a una semplice narrazione della storia dei desaparecidos.
Quando l’autrice si trova in Europa con la compagna e il figlio, attraverso una telefonata apprende che l’Équipe Argentina di Antropologia Forense ha determinato l’identità di alcuni resti trovati in una fossa comune. Si tratta delle ossa della madre, l’avvocata e militante Marta Taboada, sequestrata nella sua casa di Moreno, provincia di Buenos Aires, il 28 ottobre del 1976, di fronte ai quattro figli e desaparecida fino a quel momento.
Inizia così un doloroso e sfiancante percorso di identificazione dei resti di una madre scomparsa e, a trentaquattro anni dal suo sequestro, finalmente aparecida, riapparsa.
“Figlia lo sarò per sempre, ma se ancora cerco qualcosa, è di appropriarmi di quei resti. Scrollarmi di dosso una volta per tutte quell’ultima brace su cui soffiamo insistenti per far ardere finalmente la fiamma che potrebbe renderci liberi. Per farle prendere vita, farle prendere corpo, perché qualcuno dica qualcosa, trasmetta la sua voce, cosa hanno visto i suoi occhi, come fu la sua brevissima vita lontano da noi. In definitiva e al singolare: per restituirla. L’illusione che ci sia sempre qualcosa in più da sapere o da cercare e non volerlo cercare né chiedere perché non si esaurisca, perché non si spenga la brace: questo è essere figlia quando tua madre è desaparecida.”
Pubblicato in Argentina nel 2015, “Aparecida” si pone come un testo in cui una vera e propria elaborazione del lutto, privata e collettiva rappresenta il leitmotiv del racconto. Tante le domande a cui si cerca di dare risposta. Cosa significa avere un familiare desaparecido? Come si fa a sopportare una tragedia tanto grande accaduta nel passato ma che è costantemente presente nella vita quotidiana? Cosa resta della memoria se non si ha un corpo da piangere, da seppellire, di fronte al dolore di una realtà inaccettabile?
“Aparecida” erge la storia di Marta Dillon nel cupo scenario argentino ma soprattutto ritrae una donna forte, determinata e onesta che cerca di convivere con la sua tragedia familiare che definisce “…una crociata solitaria portando la sua voce nella mia memoria, come una bandiera”.
Salvatore Di Noia