“Torno per dirvi tutto”, il nuovo lavoro di Lory Muratti, in musica e in narrativa – L’intervista
A gennaio 2021 avevamo avuto il piacere di intervistare Lory Muratti, musicista, scrittore e regista (qui il link all’intervista). A quel tempo era appena uscito lo spoken album “Lettere da altrove”, un progetto che includeva musica, video e narrazione. Il 22 novembre questo lodevole e poliedrico artista è tornato con un nuovo progetto: un romanzo, dal titolo “Torno per dirvi tutto”, edito da Miraggi Edizioni, e l’omonimo disco, anticipato dal videoclip del brano “Due comparse perfide”. Il tema delle due opere è il suicidio, visto come scelta estrema che racchiude allo stesso tempo dolore e speranza. Otto capitoli e otto canzoni, ispirate da luoghi diversi che hanno fatto da tappa nel viaggio di Lory Muratti, che oltre ad essere l’autore, è anche il protagonista: Praga, Vienna, Parigi e il lago di Bled in Slovenia presso il Grand Hotel Toplice.
Abbiamo avuto modo di fare qualche domanda a Lory, che ci ha permesso di addentrarci ulteriormente nel suo nuovo splendido lavoro.
“Torno per dirvi tutto” esce a quasi due anni di distanza da “Lettere da altrove”. Quando hai iniziato a lavorarci? Disco e libro sono stati scritti in concomitanza?
È questo un progetto che mi segue e che inseguo da diversi anni. È iniziato tutto nel 2016, vale a dire che il lavoro ha impiegato sei anni a vedere la luce. Quando è la tua vita a essere così connessa all’opera o è la vita stessa l’opera, il tempo che si impiega per raccogliere tutto l’universo che si desidera raccontare e al contempo a individuare le strade migliori per poterlo veicolare, può essere davvero parecchio.
Musica e narrativa viaggiano nelle mie produzioni di pari passo e dato che credo fermamente che per scrivere si debba prima vivere, è facile comprendere come le tempistiche si possano a volta allungare. È infatti dal racconto che prendono forma i testi delle canzoni ed è dall’immaginario di cui scrivo che nascono le atmosfere dei brani in un continuo aggiustamento reciproco. Penso al mio doppio fronte espressivo come a una scultura o a un dipinto che procede per piccoli e grandi ritocchi fino a quando qualcosa non mi dice che il lavoro è compiuto.
Oltre ad essere l’autore, tu sei anche il protagonista del romanzo. Quando hai terminato il lavoro e l’hai riletto hai scoperto qualcosa di nuovo di te stesso che magari non ti saresti aspettato?
È una domanda interessante perché, nel suo chiedere, risponde in parte anche al quesito che si innesca quando, rileggendo innumerevoli volte il romanzo (in fase di riscrittura, correzione bozze etc.) ci si rende conto che, pur nella ripetitività del gesto, quelle pagine continuano comunque a emozionarti. Un po’ come fosse sempre la prima volta o come se ci si trovasse di fronte al libro di un altro scrittore. È lo scherzo che ingenera l’autofiction ovvero quella particolare dimensione narrativa in cui l’autore è anche il protagonista delle pagine in un continuo gioco di equilibri tra verità e finzione, realtà e menzogna.
Una scrittura non mediata che si mostra come si mostrano i ricordi dentro un vecchio album di fotografie: emozionandoti ogni volta. Credo sia questo il processo che mi porta, rileggendo, a scoprire sempre qualcosa di me che non ricordavo di aver pensato, sentito, immaginato.
“Torno per divi tutto” suona come una consapevolezza fatta di certezze. Torni da quale luogo? E quel “tutto” cosa significa per te?
Il tutto a cui faccio riferimento non porta in verità con sé un carico di certezze, ma solo la promessa di raccontare quello che è stato visto e vissuto. Il riferimento è al “Canto d’amore di J. Alfred Prufrock” di T.S. Eliot e in particolare ai versi in cui si accenna alla resurrezione di Lazzaro che torna dal regno dei morti per raccontare ciò che ha scoperto.
Noi tutti vorremmo conoscere ciò che si cela oltre le nostre esistenze, una conoscenza che ci aiuterebbe a liberarci dall’incubo della morte. Partendo da questi presupposti, l’idea che soggiace al titolo del lavoro prende però anche la forma di una provocazione ovvero: quel tutto che vi racconterò non vi libererà dalla paura della morte bensì dalla paura della vita e dai suoi tormenti. Proprio come se vi fosse qualcosa di più alto e vero oltre i confini di ciò che noi vediamo.
È questa anche una delle ragioni profonde che spingono il protagonista del romanzo a sintonizzarsi sui passi di chi non riesce a vivere la vita così come la conosciamo e vede di conseguenza in lui un possibile “traghettatore di anime perdute” o la figura deputata ad accompagnarle verso “una nuova vita che verrà”.
Si tratta ovviamente di una dimensione fortemente simbolica che non desidera assurgere in alcun modo a “elogio del suicidio”, tutt’altro. L’elogio è sempre alla comprensione, all’empatia e all’apertura verso coloro che hanno un animo tormentato o visioni diverse, lontane, magari anche pericolose o estreme. È nella totale assenza di giudizio che si radica quel tutto di cui parlo, un “tutto” che appartiene a ognuno di noi.
La copertina del libro e del disco ti raffigurano rannicchiato su una barca in mezzo all’acqua. Si tratta del lago di Bled in Slovenia?
Precisamente. Quell’immagine è tratta dallo shooting che ho realizzato mentre mi trovavo a Bled a scrivere. È un luogo surreale, sospeso nel tempo dove amo rifugiarmi e dove ha preso forma il corpo centrale del romanzo e in particolare il terzo capitolo che è direttamente correlato alla terza canzone dell’album: “Un disegno con molta acqua dentro”. Brano per il quale ho costruito un videoclip utilizzando proprio quelle riprese raccolte sul lago. Bled ha fatto da perno a tutto il progetto. Il cuore da cui prendono vita le varie ramificazioni narrative (e di vita) che mi hanno portato e riportato a Praga, Vienna e Parigi è proprio lì. Un luogo nascosto e minuscolo che è sì configurato, però come il quartier generale delle emozioni che pervadono tutto il lavoro.
In “Torno per dirvi tutto” emerge molto forte il legame tra te e tuo padre. Un legame nell’anima. Nel libro tu erediti da lui il “dono” di “facilitatore di suicidi”, in un gioco tra fiction e realtà, che ti porta ad affrontare il tuo lato oscuro e con il passato. Come hai vissuto e vivi tutt’ora il tuo lato oscuro?
Credo che per molti di noi il dialogo con il proprio doppio sia una condizione ineludibile e potenzialmente costruttiva. Parlando di doppio intendo ciò che ci propone lo specchio, quello che vorremmo essere o che non vorremmo essere stati. Il confronto con l’altro sé è un tema talmente vasto che evito di avventurarmici, ma è di certo questo il territorio in cui abita anche il nostro lato oscuro che, nella mia personale cosmogonia, non è necessariamente qualcosa da cui fuggire o da nascondere, ma più da provare a comprendere e rielaborare. Un’altra versione di sé stessi con la quale fare i conti per provare a trovare un equilibrio ed evitare così che sia lei a prendere il volante.
“Ci sono giorni in cui non ha senso nulla di quello che dico. Ci sono notti in cui penso a come devo vestirmi di nuovo” è uno dei versi del ritornello di “Due comparse perfide”, il singolo che anticipa il disco “Torno per dirvi tutto”. Un brano davvero splendido e intenso. Nel video ti si vede “sdoppiato”: le due comparse perfide sono due parti di te? Perché “perfide”?
Mi fa enormemente piacere sapere che il brano ti abbia colpita e ti ringrazio. Quanto al video, ho voluto elaborare concetti molto affini a ciò che dicevamo poco sopra. Il tema del doppio qui prende corpo nel dialogo con un sé più giovane che viene immaginato e raffigurato come un fratello minore al quale vorremmo poter dare tutto l’aiuto possibile perché non commetta i nostri stessi errori.
È di questo che racconta anche il testo della canzone. Un monologo sussurrato nell’orecchio di chi, lontano nello spazio e nel tempo, è come se giacesse addormentato e avvolto nei tanti dubbi e nelle preoccupazioni della vita che sta vivendo. Ecco allora la promessa del fratello maggiore inviata da un momento imprecisato del futuro: se non ci verrà concesso di essere protagonisti nelle nostre vite e il mondo dovesse relegarci al ruolo di comparse, ti prometto che non saremo mai solo due semplici comparse, ma due comparse perfide. Due figure imprevedibili, in grado di vedere oltre il limite delle convenzioni, di raccogliere tutte le battute nascoste fra le quinte del teatro della vita, capaci di muoversi imparando i passi e le parti degli altri e quindi sempre in grado di procedere nel percorso senza smarrirsi, senza cadere e senza rinunciare mai.
Del disco uscirà anche la versione in musicassetta, oramai una rarità, come mai questa scelta così singolare?
È un oggetto che ho sempre amato e che anche il mio discografico (Paolo Izzo di Riff Records) ama particolarmente al punto da aver iniziato a produrle in proprio. È stata la cassetta a regalarmi per prima la possibilità di ascoltare musica in movimento, che fosse in auto o in un walkman, ed è alla cassetta che riconosco il ruolo di “claudicante depositario di immaginari musicali”. Claudicante per via della fragilità del nastro, della possibilità che lo stesso si incastri irrimediabilmente, che si rovini innescando fruscii, che si deteriori e quindi, proprio per questo, prezioso, unico e affascinante.
Hai già delle date di presentazione di “Torno per dirvi tutto”?
Con l’anno nuovo inizierò a far vivere dal palco questo lavoro accompagnato dall’amico chitarrista e sound designer Jama Ferrario e, in un secondo tempo, da una formazione allargata che vedrà la partecipazione dei musicisti che hanno lavorato con me al disco. Abbiamo inaugurato questa prima formula in duo con uno splendido evento che si è svolto il 9 Dicembre proprio sul Lago di Bled. Da dove partire per raccontare dal vivo una storia così vera, se non dal cuore stesso della narrazione?
Come è nata la collaborazione con Cristiano Godano per il brano “Gli invisibili”?
Il rapporto umano che ci lega ha un’origine antica e ci ha portato, negli anni, a condividere vita e palco in varie forme. Amiamo stare assieme e abbiamo uno sguardo simile sul ruolo dell’artista oltre che due percorsi che si muovono su presupposti in vari modi avvicinabili.
Con “Gli invisibili” desideravamo dare voce a chi non ne ha o almeno provarci parlando da un lato di coloro che fanno, come noi, un mestiere piccolo, quasi invisibile e dall’altro dei veri invisibili della terra ovvero chi soffre dimenticato ai margini di un’era difficile nella quale però desideriamo credere ci sia ancora la possibilità di trovare spazio e vita e al contempo di non essere allineati e schiacciati da un pensiero unico e vessatorio.
Roberta Usardi
Fotografia di Nicola Chiorzi
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