“Un bès – Antonio Ligabue” inaugura la stagione 2024-2025 del teatro di Meano
La voce si arrampica, lo sguardo graffia, le dita soffiano e sorridono. Nello spettacolo che gli è valso il Premio Ubu 2013 al Miglior Attore Protagonista e innumerevoli altri negli anni successivi, Mario Perrotta – anche autore del progetto – dà corpo e respiro a Ligabue uomo e artista, percorrendone l’esistenza e le ferite in un monologo dal ritmo serrato. “Un bès, un bacio” chiede, con timida fretta, a quanti si accorgono di lui. Non ha un’età definita, nella sua perenne agitazione convivono l’adolescente Anton cresciuto in Svizzera e l’adulto Antonio, anzi Toni, lo zimbello di tutti a Gualtieri, paesino della bassa reggiana. Si rivolge indifferentemente al pubblico in sala e alle ombre che albergano nella sua memoria. “Un bacio, datemi un bacio” incalza, con l’aria di chi insegue ed è a sua volta inseguito, affamato di luce in un mondo opaco.
Il punto di inizio è chiarissimo: Antonio Ligabue nasce il diciotto del mese di dicembre dell’anno milleottocentonovantanove. Il numero tredici – ovvero il conto dei giorni che lo separano dal Novecento – continuerà a ripresentarsi agli occhi e alle orecchie dello sventurato, come la prima di tante occasioni involontariamente mancate nel corso degli anni. Ridotta invece al minimo, se non del tutto assente, ogni coordinata storica estranea alla sua vicenda biografica: delle catastrofi e le promesse d’oro del secolo breve arrivano tenui echi e bagliori, il mondo è sempre al di là dell’orizzonte, e il senso tragico di quel bacio a lungo sospirato prenderà forma poco per volta, alternando passi e rovesci, nella spirale di una vita segnata dalla solitudine e dallo stigma dell’ospedale psichiatrico.
Sono essenzialmente due i motivi per cui “Un bès – Antonio Ligabue” prodotto da Permar in collaborazione con Teatro dell’Argine, colpisce davvero nel segno. Il primo è l’impasto linguistico, colonna portante dell’intero racconto: italiano, tedesco e dialetto emiliano vibrano uno accanto all’altro sulle labbra del pittore come i colori complementari sulla tavolozza. Suoni delicati e teneri – la donna che ha cresciuto e protetto il piccolo Anton, la misteriosa signorina del centralino telefonico con la quale Antonio si confida e si promette – si accavallano a quelli aspri e feroci, parole affettuose e crudeli si legano e si sciolgono senza interruzioni.
La messa in scena sfugge anche alle tentazioni di un facile didascalismo, ed è qui che possiamo individuare il secondo importante aspetto del progetto: la scelta, decisiva per evocare un uomo in carne e ossa anziché appiattirne fatalmente l’una e l’altre, è quella di non ricorrere alle immagini dei dipinti più famosi nella carriera di Antonio Ligabue. Al contrario, davanti agli occhi del pubblico l’attore presta le mani all’artista, le figure che costellano la performance sono disegnate a carboncino nel qui e ora su grandi fogli di carta appesi a tre pannelli mobili. Meritatissimi gli applausi finali, per Mario Perrotta e anche per Ariateatro ETS: l’inaugurazione di una nuova stagione teatrale, per citare le parole dello stesso Perrotta, costituisce ora più che mai “un atto di resistenza”.
Visto al Teatro di Meano, sabato 18 ottobre 2024.
Pier Paolo Chini
Fotografia di Luigi Burroni, Elisa Permar