Torino, Processo Galileo di De Rosa e Rifici: l’oppressione del progresso
Il Teatro Astra inaugura il cartellone. In regia, due nomi: Andrea De Rosa, da maggio direttore del Teatro Piemonte Europa dopo il triennio allo Stabile di Napoli, in collaborazione con Carmelo Rifici, che invece al TPE ha già portato un Macbeth e che in qualità di direttore artistico del LAC di Lugano è anche produttore dello spettacolo. All’inizio sembrava che uno dei due dovesse rinunciare in favore dell’altro, poi però hanno scelto di cooperare. Coinvolti nel progetto troviamo inoltre Angela Dematté e Fabrizio Sinisi in veste di autori, e Simona Gonella per la drammaturgia. Il titolo è Processo Galileo, e già da qui si sprigiona il tema di tutta la stagione, Buchi Neri, la quale si pone come obiettivo di raccontare l’equilibrio tra la suscettibilità intellettuale dell’uomo e le verità scientifiche. Il contrasto fra il mistero e la verificabilità, in parte legato pure ai ricordi della pandemia. Dopo le prove all’Osservatorio di Pino Torinese, sabato 12 novembre c’è stata la prima. Le repliche si concluderanno domani, 20 novembre.
Colpisce innanzitutto la scena metempirica di Daniele Spanò: terra confinata in rettangoli di metallo lunghi quanto un uomo sdraiato e speculari ai quattro pannelli appesi, così simili ai fondali d’oro di certi quadri medievali. Poi un pianoforte, una candela, una lavagna: concretezze. Tuttavia, come spiega lo stesso Spanò, a volte semplici variazioni dei baricentri degli elementi spaziali, dichiarano – quasi profeticamente – l’inquietudine e la frattura di un mondo le cui certezze sono ormai messe completamente in discussione. Il che accadeva nel passato come succede ora e nel presente perpetuo. Il testo stesso incarna quest’idea, sovrapponendo più strati spaziotemporali e coinvolgendo così l’idea di un fluire più elastico. Si legge infatti nel programma di sala: Processo Galileo si compone di tre storie […]. Un prologo, ambientato nel passato storico in cui avviene l’abiura: le parole del processo a Galileo del 1633, […]. Un presente, nel quale una giovane donna, madre e intellettuale, è chiamata a raccontare per una rivista divulgativa il nuovo paradigma che la scienza sta ponendo oggi; […]. Un futuro, nel quale ogni realismo si sgretola e i personaggi diventano le voci di un’invettiva contro un Galileo che non è più visto come solo l’imputato di un tribunale ecclesiastico, ma come il portavoce di un processo storico e culturale che ha congiunto in maniera indissolubile la ricerca scientifica alla capacità tecnica, saldando per sempre l’idea di progresso di una società alla potenza dei suoi dispositivi tecnologici. Un’occasione teatrale sicuramente complessa: il testo, per quanto coeso, mantiene comunque un sottotono forse un po’ ostile o quantomeno ostico. Il tema viene snocciolato accuratamente, l’enfasi cresce con lo scorrere dei discorsi. La qualità del cast è ineccepibile: conducono Luca Lazzareschi (Galileo) e Milvia Marigliano (Inquisizione, madre della ricercatrice), punte di autorevolezza interpretativa che invitano lo spettatore a rimanere sempre attento. Ci sono poi Catherine Bertoni De Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi e Isacco Venturini, i quali gestiscono alla perfezione ruoli, voci, movimento. Li veste Margherita Baldoni, che ha optato per delle splendide tuniche arcaiche eppure perfette per un qualche personaggio di Dune e non così lontane da quello che potremmo scegliere di indossare noi oggi.
La trama, in fin dei conti, è convincente. Il prologo introduce opportunamente gli argomenti, il primo atto è un’indagine intellettuale molto ben studiata grazie alla quale s’instaura la tenzone fra la verità/lo scienziato e l’emozione/la madre, e infine il secondo atto spiega le conseguenze: l’aspettativa tradita di un mondo senza oscurantismi e la scienza moderna che diviene non solo più potente ma pure opprimente e invadente. Anche perché il progresso è un sistema esponenziale in cui, per ogni risposta trovata, si schiudono altre domande. Il vortice è centrifugo, le ramificazioni infinite.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Masiar Pasquali