“Stabat Mater”: le relazioni pericolose di Liv Ferracchiati in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano

“Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimòsa, dum pendèbat Fìlius”
(Addolorata, in pianto la Madre sta presso la Croce da cui pende il Figlio)
Beato Iacopone da Todi
Io adoro mia madre, però vorrei tanto che sparisse
Edipo relitto – Woody Allen
Tra Iacopone da Todi e Woody Allen torna in scena, in un allestimento aggiornato e con un cast in buona parte rinnovato, Stabat Mater, lo spettacolo già vincitore del Premio Hystrio Nuove Scritture di Scena che nel 2017 aveva debuttato alla Biennale di Venezia portando all’attenzione di tutti il suo Autore-Regista-Attore protagonista Liv Ferracchiati. Un testo che per la scelta dei temi trattati meritava, e al pari degli altri spettacoli della Trilogia sull’identità merita ancora oggi, la definizione di “visionario”, termine a cui subito dopo dobbiamo aggiungere la parola “purtroppo”, perché se ciò accade significa che molti dei temi trattati continuano a essere controversi e sostanzialmente irrisolti.
Liv Ferracchiati veste, senza farsi imprigionare dalle trappole e da certi stereotipi dell’autofiction, i panni maschili di uno scrittore ormai trentenne/quarantenne (cioè, come si dovrebbe dire, “maturo”…); panni maschili che però, nella sua infanzia, sono stati quelli “femminili” che però non ha mai sentito suoi. Ciò che va in scena è il rapporto di questo protagonista con le donne della sua vita: in primis sua madre (Francesca Gatto), personaggio la cui presenza immanente (e spesso invadente in maniera irresistibilmente comica) condiziona quotidianamente l’esistenza del figlio; c’è poi la fidanzata (Livia Rossi), complice e vittima in qualche modo delle nevrosi di lui e in costante competizione con questa ingombrante figura materna; e infine la psicoterapeuta (Chiara Leoncini), una donna già sposata e con un figlio ma non per questo immune rispetto alle irresistibili capacità di fascinazione intellettuale dello scrittore. I rapporti tra loro sono spesso contraddistinti dal conflitto tra forma e contenuto nascosto, tra seduzione, fraintendimento e ossessione.
“Ah, io ci sono cresciuta in mezzo alle belle parole. Mamma non era mai arrabbiata, o non so depressa, nervosa o triste. Lei diceva semplicemente che era “in pena”.
Dal film “Sinfonia d’Autunno” di Ingmar Bergman
La forma è quella di una commedia molto ben scritta, con dialoghi ficcanti e tempi perfetti interpretati efficacemente e con la giusta energia dall’ottimo cast. I riferimenti di Liv Ferracchiati, oltre ai grandi autori “classici”, sono quasi sempre espliciti e comunque numerosissimi e ben riconoscibili, da Woody Allen a Ingmar Bergman, da Nanni Moretti a David Foster Wallace, oltre naturalmente alla commedia pungente soprattutto di stampo anglosassone alla “Brian di Nazareth” che non teme di praticare il politicamente scorretto, non solo nell’uso del linguaggio.
L’Autore di “Stabat Mater” possiede, oltre alla grande intelligenza (come ammette lo stesso Liv in scena) che lo accomuna al protagonista, una capacità creativa speciale che gli permette di fare tesoro e di fondere tutti questi riferimenti in maniera ogni volta originale e fresca, come dimostrato da questo “nuovo” Stabat Mater, che riesce a rinnovarsi senza rinnegare lo spirito della versione precedente, e soprattutto quella “profonda leggerezza” che sola consente di portare efficacemente in scena i temi più scivolosi e controversi.
Ascoltando la battuta finale dello spettacolo, in cui il protagonista chiede alla madre di esprimersi rispetto alla sua confessione di essere trans gender, “Mamma, vuoi sentirtelo dire?” ci sembra perciò quasi di poter leggere il retropensiero di Liv Ferracchiati/Woody Allen:
“L’amore è la risposta, ma mentre aspettate la risposta, il sesso può suggerire delle ottime domande”
A. B.
Fotografia di Luca Del Pia
Dal 27 maggio al 1 giugn0, Piccolo Teatro Grassi, Milano
Stabat Mater
drammaturgia e regia Liv Ferracchiati
con (in ordine alfabetico) Liv Ferracchiati, Francesca Gatto, Chiara Leoncini, Livia Rossi