Rimettere a posto il disordine giudiziario, dopo la “Morte accidentale di un anarchico”

Al Teatro Bellini di Napoli, fino al 1° giugno, va in scena “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo e Franca Rame, per la regia di Antonio Latella.
A distanza di oltre cinquant’anni dalla sua scrittura, “Morte accidentale di un anarchico” resta un testo di bruciante attualità. Oggi, che la fiducia nei poteri istituzionali continua a essere scossa da opacità, abusi e omissioni, la risata sovversiva di Fo sa porre le domande scomode per questionare le contraddizioni del potere. È difficile assistere allo spettacolo senza pensare alle troppe verità mai pienamente restituite, come le storie di Cucchi, Regeni e Paciolla, ognuna diversa, ognuna segnata da zone d’ombra. Vediamo spesso assottigliarsi la linea tra legalità e impunità, tra giustizia e narrazione ufficiale. Latella rilegge il testo con grande rigore, e forse qualche rigidità. Il classico della satira politica italiana torna in una versione visivamente imponente, con un impianto scenico che occupa platea e palcoscenico.
Una sagoma gigante campeggia tra gli spettatori, evocando il corpo in caduta libera di Giuseppe Pinelli, come un grande memento storico. Gli attori si muovono tra il pubblico, a volte portando sulle spalle manichini che amplificano il gioco dei personaggi e il senso di disorientamento. Sono molteplici i giochi di specchi tra i personaggi, insieme alle versioni dell’accaduto, e agli interessi più miseri o più politici che si muovono. Daniele Russo nel ruolo del Matto è brillante, istrionico, attraversa con disinvoltura registri diversi, alternando farsa e critica, paradosso e dramma. Il suo personaggio è il cuore pulsante dello spettacolo. Ottimo tutto il cast, da Annibale Pavone a Edoardo Sorgente, Emanuele Turetta e Caterina Carpio, che si muove con precisione in un meccanismo scenico complesso e ben orchestrato.
L’idea è forte, originale, a tratti un po’ invadente: l’impianto simbolico che veicola il messaggio di posizionamento è così presente e ripetuto da rischiare di schiacciare la componente comica, che invece in Fo è fondamentale. “Una risata vi seppellirà”, forse proprio Bakunin lo diceva. La risata… quella capace di smascherare, di disinnescare il potere… in questa versione resta sullo sfondo, messa da parte per fare spazio a un tono più controllato, più “alto”. Il risultato è una narrazione che funziona a livello concettuale, ma che coinvolge meno sul piano emotivo. Questa versione dello spettacolo crea uno spazio importante per riflettere sul presente attraverso il passato, in un divertimento amaro. Il taglio registico privilegia la riflessione e l’impatto visivo rispetto alla leggerezza corrosiva che caratterizzava l’originale.
Un’operazione teatrale colta, ben costruita, che offre spunti interessanti ma che, per chi ama il lato più giullaresco di Fo, potrebbe lasciare il desiderio di un pizzico di libertà in più.
Brigida Orria