MITO a Torino: Karl Jenkins, un po’ di jazz, Berio e tanto altro

MITO Settembre Musica prosegue e delle millantate Rivoluzioni s’inizia a comprendere, forse, il senso più ampio. Quel brillante e ordinatissimo Quarto Stato sui manifesti in giro per la città e sulle copertine dei programmi ha provocato l’inarcarsi di non poche sopracciglia, nel senso che i più cinici si domandano se la musica e per estensione la cultura possano davvero salvarci, e poi da cosa? In un paese come il nostro, peraltro, dove più fonti confermano che meno di un decimo degli italiani sappiano suonare uno strumento, la rivoluzione si può fare con la musica? Noi, fra tanti, ci auguriamo che sì, il cambiamento passi dall’arte, ma è difficile non miscelare quest’auspicio col realismo-cinismo di chi segue cosa sta accadendo nel mondo.
Gli appuntamenti sono tanti e noi ci occupiamo di fissare delle opinioni in merito ad una selezione di essi: qui ci soffermiamo sui concerti di Torino, cinque in totale, dal 10 al 12 settembre, prima di un weekend alla riscoperta di Palestrina e del Falstaff e della chiusura, avvenuta il 17. Innanzitutto, la sera di mercoledì 10 al Conservatorio Giuseppe Verdi: tutto esaurito e ovazioni accoratissime per The Armed Man: A Mass for Peace, di Karl Jenkins, una vera e propria messa la cui storia comincia nel 1323, quando Edoardo II investe il primo guardarobiere delle armi e delle armature nella Torre di Londra, che diventerà l’arsenale e (poco dopo) anche un museo, il più antico della Gran Bretagna. Con l’avvento di questo millennio, le Royal Armouries si sono distinte commissionando un’opera che sancisse simbolicamente l’avanzata nel futuro. Jenkins, gallese, oggi ottantunenne, molto noto oltre Manica, è un eclettico figlio della classica, prestato al pop e al rock progressivo. Per augurarsi la pace si passa però dalla celebrazione di ciò che accomuna i monoteismi: le Armouries selezionano per lui alcuni testi “sacri” e poesie da musicare. Il risultato è una messa epica per quattro solisti, coro e orchestra che, in qualche modo, catalizza o potrebbe catalizzare il senso della rassegna, se di Rivoluzioni si vuole parlare. Anche perché le parole non sono sempre rassicuranti: sembra che la pace possa germogliare solo dal conflitto armato, dalla violenza più feroce. Si parte infatti con L’homme armé, anonima chanson del quindicesimo secolo divenuta topos misterioso, insieme belligerante e liturgico: ovunque è stato decretato/che ogni uomo debba armarsi… Poi c’è la chiamata ai fedeli, in arabo: …Dio è grande/…/Testimonio che Maometto è il suo profeta… Seguono i salmi 56 e 59, il Kyrie Eleison, e le altre parti fisse – Sanctus, Agnus Dei, Benedictus – intervallate con: L’inno che precede l’azione, 1898, del poeta inglese premio Nobel per la letteratura Rudyard Kipling (quello de Il libro della giungla); Charge! dal secentesco John Dryden e poi Swift che però cita Orazio; Angry flames, sulla devastazione nucleare, del poeta giapponese Tōge Sankichi, morto di leucemia nel ’53 in seguito all’orrore di Hiroshima. Ma non solo: c’è un passo dal poema epico indù Mahābhārata sulla reazione della fauna alle guerre fra umani, e altri brani che spaziano da Tennyson all’Apocalisse di San Giovanni. Tutto questo è stato impeccabilmente eseguito dall’Orchestra del Teatro Regio e dal Coro Valdese col Coro dell’Istituto Arcangelo Corelli di Pinerolo. I solisti, emozionanti, erano Giulia Bolcato, soprano; Annunziata Vespri, mezzosoprano; Lorenzo Martelli, tenore, e Stefano Marchisio, basso; ma ci teniamo a citare anche il muezzin Amir Ibrahim Younes, anch’egli solista per il brano dal Corano. Alla direzione, Nicolò Foron.
Nel pomeriggio di giovedì 11, invece, abbiamo avuto il piacere di ascoltare il Drei Klänge Trio (in collaborazione con il Conservatorio Federico Ghedini di Cuneo) e il Serendipty Duo (in collaborazione col Conservatorio Vivaldi di Alessandria) al Teatro Provvidenza, uno spazio dell’attigua Parrocchia della Divina Provvidenza nel quartiere Parella. Il Trio, composto da Daniel Marku al clarinetto, Giorgia D’Onofrio al violoncello e Tommaso Saganowski-Sreniawa al piano, ha proposto il Trio op.114 (Allegro, Adagio, Andantino, Grazioso e Allegro), di un Brahms che appena l’anno prima, nel 1890, aveva dichiarato concluso il suo lavoro, ma l’incontro col clarinettista Richard Mühlfeld (col quale sviluppò un rapporto molto intimo) gli fece cambiare idea. Il Duo invece aveva in programma un excursus di quattro brani jazz frizzantissimi, ma Leonardo Nicassio, che avrebbe dovuto esibirsi al pianoforte, è stato sostituito da un professore di Alessandria, mentre Simone Cogliandro ha saputo gestire magistralmente la parte del sassofono, oscillando fra una certa timidezza corporale e alcuni innegabili virgulti da musicista d’esperienza. Si decolla con Fantaisie Impromptu, 1953, di un André Jolivet direttore presso la Comédie-Française; e si rimane in Francia col Divertimento di Roger Boutry, 1963, colmo di virtuosismi che sdilinquiscono. Poi Pedro Iturralde e la sua Pequeña Czarda, ispirata alla danza popolare ungherese; e l’audace Black & Blue per sassofono contralto solo, di Barry Cockcroft, classe 1972. Alle 20 della sera stessa, di nuovo al Conservatorio Verdi per una serata che avrebbe dovuto celebrare Luciano Berio ma che in fin dei conti ci ha più che altro ricordato il vastissimo raggio d’azione del compositore di Oneglia. La prima mezz’ora è stato presentato GNOSIS, per violino e orchestra, commissionato da MITO a Salvatore Frega per il centenario dalla nascita, appunto, di Berio. Spiega Gianluigi Mattietti nel programma di sala che tutto il concerto si basa su un confronto tra elementi contrapposti, come rivelano anche i titoli dei due movimenti centrali, Materia/Spirito e Karma/Dharma, con un ordito orchestrale ricco di stratificazioni timbriche, con quattro movimenti nettamente differenziati per colore e carattere musicale, ma basati sulla stessa cellula tematica: […] Questa cellula costituisce anche il nucleo generativo della parte solistica, in cui si alternano momenti virtuosistici, squarci cantabili, effetti puramente timbrici, […] Nel primo movimento ispirato alla fisica quantistica, in particolare al fenomeno delle particelle che si influenzano a vicenda, il violino avvia un gioco di scambi con l’orchestra, nella quale si stratificano figurazioni rapide e uniformi e gli archi alternano trame suonate con il legno e altre con il crine. […] Non è assurdo pensare che a Berio sarebbe potuta piacere, ma forse questa cosa non conta: per la seconda mezz’ora, infatti, si passa al suo Rendering per orchestra, creato alla fine degli anni Novanta sul restauro integrativo di alcuni abbozzi pianistici, quasi stenografici, di Franz Schubert. Due lavori di natura simile, insomma: due studi su maestri precedenti. Sul palco, l’Orchestra I pomeriggi Musicali, nata nel Teatro Nuovo di Milano il 27 novembre 1945; Benedetta Mignani primo violino e Alessandro Cadario direttore.
Infine, venerdì 12. Alle 17 eravamo al Teatro Vittoria di via Gramsci per Mimino, di e con Oscar Pizzo al piano e Manuel Zurria ai flauti, i quali hanno recuperato due esponenti del mondo sovietico a lungo banditi: Giya Kancheli (1935-2019), georgiano, e Valentin Silvestrov (1937), ucraino. Come spiega lo stesso Pizzo nel programma di sala, la risposta che deriva dall’approfondimento della loro musica è quella di una disarmante semplicità. La melodia, negata per decenni dal rigore dello strutturalismo di Darmstadt, bandita e negata persino nelle sue più timide apparizioni, si rivela qui nella sua più profonda e malinconica veste. […] Le Miniature di Kancheli sono musiche di scena per alcune delle sue più fortunate esperienze teatrali, quelle realizzate con il celebre regista georgiano Robert Sturua. […] Ascolterete poi tre dei sette cicli intitolati Melodies of the Moments, opera magistrale di Valentin Silvestrov, originariamente per violino, qui invece proposti in una versione per flauto e pianoforte. […] Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per prima cosa, sua figlia ha dovuto convincerlo a mettersi in salvo; poi, ogni treno era troppo pieno per salire. Fortunatamente un conoscente lo ha notato e guidato, attraverso strade secondarie, fino al confine polacco, dove ha preso un treno per Berlino. Alle 20, infine, una bellissima serata all’insegna della musica danese. Thomas Dausagaard ha diretto l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI in un viaggio dal furore al sussurro, dall’ombra all’energia, scrive Stefano Nardelli per il programma di sala. Per prima è stata eseguita Raseri (La rabbia), originariamente quartetto per archi qui riarrangiato dallo stesso direttore Dausgaard; composta dall’organista tardo-romantico Rued Langgaard, considerato dai suoi contemporanei fuori tempo massimo rispetto alle tendenze di inizio Novecento. Di seguito, gli accorgimenti sui cambi di tempo, che più di mille parole condensano l’atmosfera voluta dall’autore: Poco allegro rapinoso (Quasi stracciamento, Furioso, Agitato), Presto scherzoso artifizioso (Più animato quasi con scarpino, Furioso mortifero, Pesante collerico), Tranquillo (Scherzoso schernevole, Rapinoso stringendo), Tranquillo Secondo (Mosso frenetico, Fiero stringendo, Maestoso). Dopo Let me tell you, un lungo intermezzo di Hans Abrahamsen con sette canti per soprano e orchestra, interpretati da Liv Redpath; finalmente si può concludere con un grandissimo: Carl Nielsen, anche lui non particolarmente celebrato in vita, del quale è stata eseguita L’inestinguibile op. 29 del 1916, una sinfonia non programmatica ma molto corporea, fisica; un flusso ininterrotto, formalmente divisa in quattro movimenti ma concepita come un unico arco drammatico, dove temi e gesti si trasformano in una sorta di ideale continuum.
Davide Maria Azzarello








