Lo spettro queer di “Gisellə” al Teatro Astra di Torino

La stagione del Teatro Astra di Torino, Fantasmi, si arricchisce con un breve cartellone parallelo con protagonista la danza, dal 21 gennaio all’11 maggio. Il titolo della rassegna è Il gioco delle ombre, sorelle minori dei fantasmi, per così dire. Come spiega senza troppi lazzi il direttore Paolo Mohovich, l’ombra è impalpabile e inquietante, e ce la portiamo sempre appresso proprio come facciamo con i nostri Fantasmi. I primi due spettacoli sono stati molto evocativi, ma è col terzo, in scena il weekend del 7 e 8 febbraio, che si entra nel vivo della questione degli spettri per come ce li figuriamo nell’immaginario collettivo. Il balletto fantasmatico per eccellenza, Giselle, prende forma attraverso la visione contemporanea e coraggiosa del coreografo napoletano Nyko Piscopo e della Compagnia Cornelia, i quali hanno scelto di estrapolare una prospettiva queer dalla trama originale per approdare a Gisellə, reso graficamente attraverso il serio vezzo dello schwa.
Giselle è un balletto romantico in due atti ideato nel 1841 da Theophile Gautier, musicato da Charles Adams e coreografato da Jean Coralli e Jules Perrot, poi ovviamente superati con Djagilev. Siamo nella Renania medievale: la giovane protagonista vive con la madre in una casetta nel bosco. Entra in scena un popolano che le fa la corte, lei è restia ma poi cede, anche se ancora non sa che il suo spasimante è in realtà Albrecht, principe di Slesia. I due innamorati danzano assieme incuranti degli ammonimenti della madre di lei e di Wilfred, amico del principe. Sopraggiunge il guardiacaccia, Hilarion; anche lui si è invaghito della ragazza, e per primo comincia ad avere sospetti sulla vera natura di Albrecht. Durante una battuta di caccia in cui è presente pure la promessa sposa del principe, Hilarion smaschera Albrecht e Giselle muore per la disperazione, ma soprattutto affinché si compia il mito: la madre era terrorizzata dall’idea che la figlia potesse diventare una delle Villi, le fate slave, spiriti di donne lasciate all’altare o comunque tradite. E infatti nel secondo atto Giselle danza con gli altri spettri, che inseguono Hilarion e lo costringono a danzare fino alla morte, anche se il poverino non è colpevole di granché; e infine raggiungono Albrecht, al quale toccherebbe la stessa sorte se il fantasma di Giselle non lo sorreggesse durante la straziante danza che per tanti altri, forse tutti gli altri, è stata l’ultima danza lunga una notte. All’alba le Villi spariscono ma non solo Albrecht è salvo: l’amore di lui ha salvato lei dalla dannazione sulla terra. Giselle non appartiene più alle Villi e può riposare nella sua tomba.
Cornelia e Piscopo rivalutano il mito nella sua interezza e fino alle sue fondamenta, scardinando stereotipi e allacciando tra loro ideali creduti lontani con dei ponti di sensibilità, intesa come volontà di cedere alle emozioni e farsene pervadere. L’obiettivo dichiarato è di attualizzare l’opera dandole un assetto queer, e infatti danzatori e danzatrici riescono ad esprimere la trama attraverso i loro corpi e non per una maschera indossata. In questo modo emerge una storia di una concretezza meno intaccabile, e molto più stimolante. C’è molto di buono, di riuscito, in questa versione di una leggenda forse ormai un po’ troppo sciacquata: innanzitutto a più riprese gli interpreti suggeriscono trame alternative ma poi neanche tanto: trame più che altro ignorate fino a questo punto. Per esempio sembra si spenda molto tempo a celebrare il rapporto fra Albrecht e Wilfred: un amore potrebbe essere intercorso anche fra loro. La coreografia è molto sensuale, tribale, per niente flautata. I suoni e le musiche originali, di Luca Canciello, ci opprimono per poi concedere grandiosità sentimentale. La scenografia di Paola Castrignanò è una doppia asta bianca con ventaglio candido per ogni interprete: lo spazio evolve a seconda di come le aste vengono appoggiate; lontane o vicine, aperte o chiuse. I costumi di Pina Raiano, anch’essi bianchi, afferiscono ad un immaginario neutro ma molto corporeo, e trasformano chi li indossa in statue oniriche raccolte nei loro tormenti ma pure fiere di esibire la propria debolezza sul bavero, su una spalla, sulla pancia, fra le gambe. Nel secondo atto i fantasmi vengono esteticamente risolti con l’espediente della videoart di Andrea De Simone aka Desi (La danza delle Villi, realizzato nell’ambito del Festival AstiTeatro46, esito di un laboratorio con danzatori over50). I danzatori: Mimmina Ciccarelli, Nicolas Grimaldi Capitello, Leopoldo Guadagno, Eleonora Greco, Raffaele Guarino, Francesco Russo, Sara Ofelia Sonderegger, Matilde Valente. E i danzatori in video: Marina Iorio, Giuseppe Li Santi, Samantha Marenzena, Rita Pujia, Chiara Saracco.
Questo spettacolo è commovente, di un lirismo palpabile, fisico. Gli interpreti calcano lo spaziotempo con maestria e tutto concorre alla rievocazione, nonché alla riabilitazione, di uno stereotipo. Palcoscenico Danza prosegue il 4 marzo con Behind the light di Cristiana Morganti, il 5 aprile con Nostalgia di Giovanni Insaudo, e Made4you.big di Eko Dance Project. Gisellə invece sarà al Carcano il 5 e 6 aprile.
Davide Maria Azzarello
Foto di copertina di Serena Nicoletti