La sfida del mistico: Jeanne, Santa Vergine Guerriera, al Teatro Astra di Torino

Sabato 10 maggio abbiamo visto la penultima replica della Giovanna D’Arco di Paolo Costantini, regista romano classe 1996, e ci è tornato in mente un libretto edito da Millelire – Stampa Alternativa. L’attore, di Gerardo Guerrieri (introduzione di V. Gassman e imperdibile nota finale di Luciano Lucignani), è anche la voce Attore della preziosa Enciclopedia dello Spettacolo ideata da Silvio D’Amico nel ’54. Nella sua forma singola, però, è un fascicolino massimalista con una grande L sulla sinistra, nera e austera, che assieme all’apostrofo incombe sull’attore in corsivo verticale, schiacciato sulla destra e trasparente: un gioco grafico che trasforma la parola in una serie di onde spigolose come la risacca o le frequenze. È un font un po’ groovy un po’ lobster, ma più elegante e dinamico, tipico degli anni Ottanta. Guerrieri spiega che l’attività dell’attore, reietto e idolo, è la costante mediazione di un sapere lontano, ma è anche una lotta continua su più fronti.L’hypocrités (colui che risponde) è rinchiuso in uno spirito esoterico, talvolta protettivo, talvolta ribelle che gli consente di agire da polo negativo nei riguardi dei desideri di potenza, voluttà, anarchia e avventura che la collettività reprime nel suo seno. Verso la fine ci si domanda: in che rapporto stanno la sincerità della passione e la sua espressione scenica? Deve l’attore soffrire (secondo il precetto di Orazio, che impone di commuoversi a colui che vuol commuovere) o semplicemente fingere di soffrire? Qual è cioè la qualità più importante dell’attore, la sensibilità o la fantasia? […] È l’attore un artista? In che senso e in quale misura può considerarsi artistica la sua attività, soggetta com’è a tanti influssi ed esigenze? Non è essa più avvicinabile a generi d’intrattenimento pratico, quali per esempio l’oratoria? Ed è l’attore un creatore o solo un semplice esecutore o, nel migliore dei casi, un interprete?
Federica Rosellini è Giovanna D’Arco con tenacia e devozione, con tutto il corpo e la voce, con una scena pazzesca e viva e sciamanica e simbionte dell’attrice; e i suoni degli abissi, e le luci zampillanti dalle ferite della Storia che si reiterano nel presente. Chi la osserva e la ascolta, grandiosamente avvinto in una prova che è autonoma e corale a un tempo solo, è obbligato a ritornare alle macro-questioni della recitazione. Cos’è un attore? Ecco perché Guerrieri, in apertura. E questa prova non conquista affatto per lazzi, anzi colpisce con la durezza di un’incarnazione ardente e arrabbiata, forse persino sentita dalla persona oltre l’hypocrités: il volume occupato da Rosellini catalizza tutta l’energia della sala in un’unica noce di deflagrazione. Giovanna ci sfida. Perché ci si ricordi di lei, è necessario investigare e poi sviscerare ma soprattutto rigurgitare tutto il male. Dobbiamo emanciparci (purgarci!), collettivamente, non solo della paura politica che smosse gli inglesi, ma soprattutto dell’indifferenza di Carlo VII detto il Vittorioso che senza la nostra protagonista non sarebbe mai stato incoronato a Reims. Perché paura e indifferenza esistono ancora, i telegiornali ce lo ricordano ogni giorno a colazione pranzo e cena. Purtroppo non vi è il tempo di approfondire il fascino che accompagna la biografia di questa grandiosa figura, né ci si può sperticare in (troppe) analisi politiche come quella che incoerentemente campeggia poche righe sopra. È sufficiente constatare che nella prova di Rosellini, generatrice e centripeta, non si riscontrano difetti, ma solo una infuocata voglia di restituire, palleggiare, urlare una cosa che è successa e una persona che è stata e ciò che ha significato e ciò che avrebbe potuto essere. Si comincia per spasmi, conati; Giovanna si picchia il petto e guaisce. Si parla di abiti perché sono importanti, ma il tempo e la fatica Giovanna li investe per (de)costruirsi il rogo da sé: la scena, che come si diceva è un vaso comunicante in cui l’attrice riversa parte della trama, dapprima è una specie di palo di totem rivoltato come si fa coi calzini, vuoto dentro (è fatto di assi e tronchi appesi a tre cerchi con dei ganci) ma con un’armatura celata nel suo nucleo più basso; poi Giovanna lo lascia crollare e si accanisce su ogni ceppo con un’accetta. Ma prima ci parla, gli del Voi, lo chiama Voce di luce e così via. È Dio che le chiede di essere la sua paladina. Santa vergine guerriera, umana oltre il mito, Federica Rosellini prima dell’uscita di scena dice una cosa banale e divertente: ho caldo; poi torna sul palco con un fucile e spara due volte, di spalle. Vincitrice sconfitta, porta sul palco il femminismo e l’eroismo e, ancora, quella poetica del sacrificio che è propria pure di altri personaggi storici, e più recenti, come Jan Palach; il tutto filtrato però anche (e in maniera riuscita) nel colino della performance che rende statuari i concetti: nel testo di presentazione, infatti, Costantini cita Body Art di Lea Vergine: non si deve pensare al mistico come a uno stilita, piuttosto come a un ribelle per vocazione, un lottatore ardito, sovente eretico, paradossale in materia di fede, indomito nella passione di torturarsi, in breve a un temperamento incendiario.
Giovanna D’Arco è una prestigiosa e onorevole produzione del TPE Teatro Piemonte Europa, al Teatro Astra di Torino dal 2 all’11 maggio. La consulenza drammaturgica è di Federico Bellini, scene e costumi di Alessandra Solimene, luci di Marco Guarrera, suono di Dario Felli.
Davide Maria Azzarello
Foto di copertina di Andrea Macchia