La risposta di Handke ai nastri di Krapp: “L’ultima parola” di Barletti/Waas conclude la stagione del Teatro Astra di Torino

Un anziano canuto è seduto su una sedia al centro di un piccolo palchetto di legno bianco. Indossa un completo giacca e pantalone infangato, macchiato di calce rappresa, come le scarpe. Non ha calzini né camicia. Secco. Rigido con la sola eccezione di due frementi gocce d’umanità fra le rughe dell’inspiegabile e irriducibile volto col quale osserva la gente entrare e prendere posto. Ha una banana in mano e poco tempo da perdere: la mangia non appena l’ultimo spettatore si siede. È lui, con quel gesto di attrita eleganza, a richiamarci all’ordine e sopprimere il brusio.
La buccia è a terra, il silenzio è calato, si comincia. È difficile seguirlo, perché interpreta il testo espellendolo con l’asettica neutralità tipica del teatro dell’assurdo, quasi purgandosene, avvinto nell’egocentrismo e forse smosso, nel profondo, dalla vergogna. Legge/dice un copione invisibile, recita/ripete una poesia svuotandola ad ogni affondo, per sottrazioni riferisce del suo passato – memorie di alcolismi, di fallimenti letterari, di delusione – registrato sui nastri e poi riascoltato, criticato e biasimato. Sembra di vedere un guscio vuoto che si dimena. Così, invece di agire, dirà, con enfasi ma senza colore, che questo o quel personaggio sta compiendo quell’azione. È uno stilita del Novecento, e declama la sua verità. Se deve fare una pausa dirà/leggerà pausa, ogni volta. Pausa. Di interpretato dovrebbe rimanere poco, eppure il pubblico è attento: ognuno, seguendo la propria sensibilità, ha il diritto-dovere di cogliere frammenti del suo discorso, poiché effettivamente qualcosa supera quella corazza impalpabile che avvolge lui ma che adesso sta prendendo anche me, intorpidendo il mio interesse per l’esterno, per i valori, per il senso delle cose, in pace con la noia d’esistere. Anche le espressioni facciali sono emblematiche, ma decifrabili? Il personaggio riflette, quindi il personaggio/l’attore corruga la fronte e converge le pupille con fare parodico. Tagliente. Fa male ma non so perché. Forse perché non voglio essere come lui. Forse perché sono come lui. Alla fine del monologo, il vecchio dice sipario!, le tende scure che fanno da quinte attorno a lui e a noi cadono sul pavimento in un fruscio strozzato; lui esce dal suo completo, del tutto uguale a un guscio, il quale rimane seduto dritto come un inquietante fantoccio acefalo; ed esce di scena in boxer. Sugli spalti, dove di solito siede il pubblico, c’è la seconda monologante con la sua replica. È sull’estrema sinistra, con i piedi sul sedile davanti. Indossa una camicia blu elettrica. Per metà del suo tempo ci parla da lì, poi prende una certa dimestichezza con lo spazio e lo domina dolcemente, attraversandolo, entrando e uscendo, come un respiro. Il suo parlare è libero, svincolato, soave, e sull’estrema destra un musicista accompagna e sostiene i concetti e le frasi con una serie di suoni e ritmi e accenni concavi, come ad accogliere la convessità del verbo. La donna in blu racconta di nuovo la storia di Krapp, poiché la conosce – è/era lei quella minuscola speranza nel passato di lui – e poiché per troppo tempo al testo di Beckett mancava una risposta, una spiegazione, con annesse critiche e rivelazioni.
La stagione del Teatro Astra di Torino, Fantasmi, si è conclusa tra il 17 e il 31 maggio con un enigma: L’ultima parola del duo Barletti/Waas è l’unione di due testi – L’ultimo nastro di Krapp, di Samuel Beckett (1958), e Finché il giorno non vi separi, del Nobel austriaco Thomas Handke (2021) – che uniti hanno portato ad una strana e acuminata creatura concettuale. Per finire, insomma, si passa dalla Sfinge, che ci farà una domanda. Non è tempo di risposte, poiché tutte sarebbero lacunose, approssimative. Werner Waas (Krapp) e Lea Barletti (la donna), qui sia registi che attori, propongono al pubblico una coesistenza fra estremi opposti: il connubio improbabile fra due visioni del teatro, lo sposalizio fra la sensibilità e la sua negazione.
Lo spettacolo è stato prodotto da Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, Barletti/Waas, TPE – Teatro Piemonte Europa, Florian Metateatro. Il sound design e le musiche originali sono eseguite dal vivo da Luca Canciello, le luci di Andrea Torazza e Pasquale Mari mentre la scenografia è firmata da Ivan Bazak.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Paolo Costantini