La natura multiforme della poesia: Beatrice D’Abbicco racconta il suo nuovo libro “La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta” in uscita il 3 novembre

L’importanza delle autrici per un nuovo canone.
Il prossimo 3 novembre uscirà “La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta” (Eretica edizioni, 2025, pp. 80, Euro 15), il nuovo libro di poesie di Beatrice D’Abbicco, che abbiamo avuto modo di leggere in anteprima. Siamo rimasti colpiti e intrigati dallo stile diretto e ironico dell’autrice e per andare ancora più a fondo nei suoi versi le abbiamo posto qualche domanda.
Tra poco, il prossimo 3 novembre, uscirà il suo nuovo libro di poesie “La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta”. Si tratta della sua terza opera dopo “Nella guerra persa che tu chiami amore” (Capponi Editore, 2023) e “Porpora. Materiale infiammabile” (Women Plot, 2021). In copertina si legge “Un gioco poetico e irreverente che mette in discussione i confini stessi della poesia”. Come ha concepito questo nuovo libro e in quanto tempo l’ha creato?
Tutte le mie opere, di solito, vedono una fase iniziale di gestazione sulle note del mio telefono, anche gli scritti di più di seicento pagine. La scrittura per me è un istinto, un gesto immediato. Scrivo e annoto idee continuamente durante il giorno (o la notte), per me è come mangiare o bere. La poesia non esiste nasce da un’insofferenza crescente verso certe cose che ho notato in alcuni ambienti “intellettuali”. L’eterno dilemma di definire cosa è o non è la Poesia rivela la natura multiforme e variabile della stessa, al punto che forse il problema non ha più senso di essere posto: oggi il potenziale del verso poetico si manifesta con la smaterializzazione della forma classica. Poi, c’è questa cosa che molti ormai vogliono scrivere solo per farsi fare l’applauso da qualcuno, specie se questo qualcuno ha il compito ingrato di giudicare, in giacca e cravatta, o consegnare targhe. Pochi scrivono per lasciare un messaggio autentico a chi legge. Questa raccolta di poesie vuole ribaltare i luoghi comuni sulla poesia stessa, prendendosi gioco sia della prosopopea di chi prova a recintare la poesia in definizioni schematiche e in salottini letterari polverosi sia di chi si butta nella poesia senza aver molto da dire, solo perché ormai va di moda poetare con atteggiamento da rapper competitivo. Il manoscritto non risparmia nessuno, nemmeno l’autrice stessa, che racconta aneddoti della quotidianità tra precarietà e false partenze.
I miei libri sono molto differenti tra loro, ma collegati da un filo invisibile che è quello dello sguardo autoriale-femminile. Dopo secoli in cui la realtà è stata scritta e raccontata solo dagli uomini, io voglio rappresentarla, ora, senza farmi condizionare da quello sguardo maschile onnipresente che in realtà non rispecchia affatto l’umanità intera, anche se ce l’hanno fatto credere per troppo tempo e questa è una gravissima distorsione sia dal punto di vista degli immaginari che della scienza, se vogliamo. Parlo di corpi maschili, desiderio femminile e uso il femminile sovraesteso: do rilevanza al mio sguardo di donna come metro di misura delle cose. Credo che le donne debbano allenarsi a un po’ di sano orgoglio.
In “La poesia non esiste: pro e contro di essere poeta” la dedica dice: “A te, che non ami leggere”, concetto che viene ripreso anche nella poesia di chiusura (qui di seguito).
Ehi tu, mi senti?
Leggerai il mio nuovo libro
prima o poi?
magari non questo,
il prossimo,
fa lo stesso
tanto sono tutti tentativi
di arrivarti
tra scaffali alti
e mani d’altri
che si arrampicano
strappano
il dono
che ho scritto
per te.
Tu, che non ami leggere.
Chissà se un giorno
Ritiene che chi non ami leggere possa amare la poesia?
Non so se chi non ama leggere possa amare la poesia. Credo che ogni caso sia sé. Non mi interessa, in realtà, se sia possibile o meno. Non sono per le paternali sui bei tempi in cui “i giovani leggevano di più”. La mia è più (auto)ironia: la dedica iniziale è un paradosso, perché il mio libro fa satira alla poesia tramite la poesia stessa e quindi, sarcasticamente, non può che rivolgersi a chi non ama leggere e non leggerà mai il mio libro. In mezzo a questo “non-pubblico” c’è anche una persona con cui ho condiviso dei momenti speciali, il cui rapporto si è perso nella distanza e che sosteneva di non capire la poesia. La speranza remota che questa persona si “converta” alla lettura, però, è un po’ reale e anche un po’ tragicomica.
Leggendo in anteprima il libro, ho notato che le poesie non hanno un titolo e non ne hanno bisogno, sono immediate, con versi brevi e veloci: colpiscono subito e fanno subito riflettere. Assomigliano a un flusso di coscienza, con pochissima punteggiatura e spesso terminano con un verso in corsivo, che sembra il suo giudizio personale alla poesia stessa, è davvero così?
Ottima constatazione. Si può dire che il verso finale in corsivo sia la verità amara in fondo all’ironia, che si disvela solo alla fine, una specie di “titolo” col colpo di scena.

Beatrice D’Abbicco
Una delle poesie dice “Scrivo per urlare non per piacervi”, e in altri versi dice “La poesia non è arte, si legge nella mente”. Secondo lei quindi la poesia è una protesta e non è un’arte?
Non proprio… “Scrivo per urlare”, perché la mia scrittura è sempre anche un atto politico e di protesta. Protesto contro l’ipocrisia, contro la mentalità patriarcale e un sistema che soffoca le voci fuori dallo standard. Io credo ci sia un fortissimo legame tra l’arte e l’attivismo. La poesia di fatto, per me è anche una forma di attivismo. Un’artista e un’attivista hanno in comune tantissime cose. Ad esempio, il parlare alla collettività, l’insofferenza verso il concetto di norma e i ruoli sociali, il desiderio di libertà o liberazione. Inoltre, il canale artistico/poetico è un fortissimo mezzo di cambiamento sociale, che talvolta può “sbloccare” le coscienze assopite in modo più facile rispetto a qualsiasi orazione. Non credo che l’arte potrà mai essere autoreferenziale o fine a se stessa, a patto che si tratti di vera arte. Per questo motivo bisogna anche stare molto attente/i al tipo di messaggio che si veicola. Non tutto è giustificabile per un fine artistico, ad esempio sono contraria a chi utilizza la scusa dell’arte per normalizzare abusi sulle donne e le discriminazioni sistemiche. Per quanto riguarda il verso che recita: “la poesia non è arte, si legge nella mente”, si tratta di una frase ironica che va contestualizzata nel suo sottile sarcasmo di una poesia molto diversa da quella del verso analizzato poc’anzi. Lo si evince meglio nella parte in cui parlo di boomer e salottini letterari isolati dal mondo. Il significato di questo brano sfocia nella poesia successiva: “La poesia è morta/sotto quest’ultima frase /che l’ha attraversata /come pallottola.” Praticamente si tratta di due poesie collegate, come in un flusso di coscienza, che criticano l’idea che la poesia per esistere debba essere qualcosa di elitario e noioso.
Nei suoi versi non mancano riferimenti ai social; ritiene che i social siano nemici o alleati della poesia?
Ritengo che i social possano essere entrambe le cose. Ad esempio, sono ottimi alleati per fare rete, per condividere qualcosa di interessante oltre le solite pose con rolex e auto, posti lussuosi, fitness, stereotipi di genere e altre patetiche robe da decerebrati che dilagano nel mondo online. I social sono uno strumento utilissimo quando permettono di far sentire voci fuori dal canone, altrimenti marginalizzate, come quelle femminili. Poi, come accade all’incirca dappertutto, ci sono anche molte banalità nella poesia “instagrammabile”. Però, in linea di massima, ritengo che usare i social per condividere contenuti poetici e artistici, anche se non di altissimo livello, sia comunque più costruttivo di tutto il resto. Purtroppo, se vuoi usare bene i social network, devi dedicarvici molto tempo e quindi è un po’ come se la creatività si piegasse ai trend e agli algoritmi; infatti, io sulla mia pagina @beatrice_nel_purgatorio non seguo una scaletta, a costo di rinunciare a una crescita più rapida di follower.
Tra le poesie, una cita la “giornata tipo di 72 ore di una donna / persona non privilegiata / poeta”; chi sono i privilegiati per lei e perché una poeta non può esserlo?
Chi sono i privilegiati? E perché proprio i maschi etero cis bianchi? (Che poi basterebbe semplicemente dire “maschi”, talvolta). Beh, oltre questa ormai nota categoria, direi che ci sono anche le poete e i poeti, in fondo. No, non mi sto contraddicendo. Ora provo a spiegarmi meglio. Se parliamo in termini estetici, la poesia ti eleva davvero, su un piano “animico”. Quando scrivo entro nello spazio onirico, dove hai sempre una seconda possibilità e puoi rielaborare il dolore costruendo nuove immagini che poi prendono la forma di un verso e quindi, in qualche modo, possono realmente incidere sulla realtà di chi leggerà. È come un sogno che prende vita. Se invece parliamo in termini puramente economici, ad oggi, chi vuol vivere solo di poesia rischia di fare un buco nell’acqua. In questo senso il privilegio ce l’ha chi sceglie un settore non umanistico. Se poi scrivi e sei pure donna, ne vedrai delle belle! E qui si potrebbe aprire una lunghissima parentesi sul gender gap e il percorso travagliato delle scrittrici tra ostruzionismo, invidie, mansplaining, molestie, dubbie redazioni giornalistiche, false proposte di collaborazione e umiliazioni che ti costringono a disfare e rifare, continuamente. A parità di talento e impegno, i traguardi che un autore raggiunge in un paio di mesi scarsi, le autrici riescono a raggiungerli solo dopo anni e anni di gavetta, forse, ed esordiscono più tardi. Anzi, a dire il vero questo accade anche quando l’autrice/artista sia superiore in talento e impegno rispetto ad altri autori. – Cosa non infrequente, mi permetto di dire, se consideriamo che ormai la poetica maschile è trita e ritrita. Il punto di vista degli uomini ha invaso per anni librerie, antologie e i programmi scolastici perpetrando una visione parziale sul mondo, pregiudizi e incitazione al machismo. – Un contributo nuovo alla cultura, più interessante e più sostenibile, lo stanno dando le donne che pensano con la propria testa. È questo il significato della poesia in copertina (“Diranno che / non sei / pronta / – per scrivere – / ma è solo che / spacchi /e sei donna”). Non tanto un riferimento a me stessa, quanto una chiamata all’orgoglio verso tutte le autrici, sia quelle che pubblicano sia quelle che ancora nessuno conosce, perché so per certo che si ritroveranno con le ali spezzate prima o poi, ma forse non tutte avranno il coraggio di risollevarsi da sole.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ho in cantiere un progetto molto serio. Un saggio sulle questioni di genere, su cui sto lavorando sodo. Ruota attorno alla creazione di un nuovo paradigma di sorellanza, come alternativa concreta alle disuguaglianze. Poi ci sono anche un romanzo distopico, racconti horror e altre raccolte di poesie in via di sviluppo. Non manca anche il canale fotografico per cui mi riprometto di ampliare il mio progetto BRAT. Ogni donna è sacra, in vista di nuove mostre.
Roberta Usardi








