Incontri di drammaturgia: “Nessuno ti darà del ladro” di Tatjana Motta

Nel terzo incontro dell’evento “Copione”, evento promosso dall’Associazione Situazione Drammatica presso lo Spazio Banterle di Milano, l’autrice Tatjana Motta è riuscita a dimostrare quanto anche un testo allegorico e surreale possa coinvolgere e trasportare il pubblico in una dimensione distorta, ma capace di smuovere gli animi con un forte impatto emotivo. La scrittrice decide di rappresentare nel suo testo uno “spazio”, un “luogo altro”, il quale, nel suo essere chiuso e isolato dal mondo esterno, rappresenta l’ambivalenza negativa di quanto il “proteggere” la propria famiglia può diventare un “controllo ossessivo”, che diventa inesorabilmente un declino verso l’autodistruzione.
Nel testo si narra di una famiglia idealizzata dove i due figli sono tenuti lontani da qualunque contatto con l’esterno della casa e la loro conoscenza è data solo dai loro genitori che cercano di creare, isolati dal mondo, la famiglia perfetta in cui tutto va per il verso giusto e non ci sono problemi. Il padre arriva perfino a fingersi l’idraulico e il dentista, tanto che i due fratelli si relazionano a questi come se fossero veramente persone diverse, nello sforzo di mantenere questa idea di perfezione. Perfezione distrutta, o meglio, messa a nudo nella sua imperfezione, dall’arrivo del ladro, il quale rappresenta il contatto con il mondo al di fuori, che dà il via all’inarrestabile sgretolamento delle convinzioni e dei rapporti interni alla famiglia. Nella prima parte la casa stessa rappresenta lo scrigno inviolabile che protegge la “proprietà privata”, mentre nella seconda diviene una trappola che costringe i protagonisti stessi a una reazione, e questi, arrivati alla fine, hanno soltanto due possibilità: o salvarsi o soccombere ad essa.
Durante la lettura, eseguita magistralmente da Massiliano Speziani, Valentina Picello, Marta Malvestiti e Alfonso De Vreese, la platea è stata trascinata nelle emozioni dei membri della famiglia, dalla paura generata dalla disinformazione e da una visione distorta della realtà, al fascino che la realtà ignota, ma ben presente nella mente dei due figli, produce per poi scaturire in una voglia disperata di cambiamento e di una via d’uscita. La paura interna, creata dai genitori con una reclusione mascherata da preoccupazione, e un ascolto spasmodico che maschera un controllo ossessivo da parte del padre, è l’elemento di coesione di tutta la famiglia e della platea stessa, ma è anche il promotore della crisi interiore ed esteriore dei personaggi, di cui il pubblico è spettatore.
Il padre è la rappresentazione del sentimento che deve essere collettivo, mentre quando è nelle vesti del dentista e dell’idraulico, “distorsione massima della realtà”, rappresenta nel primo una paura infantile che gli permette di controllare i figli e discutere di quei argomenti che come padre non riuscirebbe a trattare, mentre nel secondo ruolo è l’unico momento in cui dice la verità e ha un vero confronto con il figlio rappresentando colui che dovrebbe “depurare” la casa e risolvere tutti i problemi, senza riuscirci.
Quando il padre uccide il ladro e cerca invano di nascondere il fatto, cercando di riportare il tutto al senso della sua “normalità”, uccide per la figlia, l’unica via d’uscita che lei aveva tanto sognato e il pubblico è conscio della surrealtà grottesca della situazione. La casa, che dovrebbe essere il luogo in cui ci si sente sicuri e protetti, rappresenta invece la distruzione dell’equilibrio della famiglia; il figlio rappresenta la reazione e la realizzazione da parte di una delle due vittime, mentre l’altra, la figlia, rappresenta la rassegnazione e l’incomprensione. Tuttavia a soccombere al luogo sono gli stessi artefici di quell’utopia distopica, i genitori.
Il disagio è generato nel pubblico con efficacia da un linguaggio criptico, e a detta dell’autrice stessa “impressionista”, che rappresenta la capacità dei membri della famiglia di capirsi solo loro, ma allo stesso di non comprendersi affatto. I rapporti intrafamigliari sono morbosi e totalizzanti, apparentemente pacifici, ma già dall’inizio in chiaro conflitto. Soprattutto nella seconda parte, dopo l’uccisione del ladro, i pensieri espressi dai personaggi sono sempre meno lineari e spezzati da contraddizioni e dubbi, realizzando una visione di un tempo che si inceppa e si disordina, dando un forte senso di straniamento e surrealismo grottesco. È il sogno che si rompe e si mostra in tutta la sua imperfezione.
L’autrice con il suo lavoro riesce a portare per iscritto la distruzione di una famiglia già in bilico sul filo del rasoio; con l’arrivo del ladro, “l’altro”, si manifesta e si sconvolge un equilibrio già precario. Il testo raggiunge l’obiettivo di Tatjana Motta, ovvero di essere uno scritto pieno di una “ironia nera”, nella rappresentazione di un “amore violento” ed eccessivo che scaturisce nell’autodistruzione tragica del nucleo famigliare.
Andrea Zacchetti